Ferita dalla rappresentazione che ne fa spesso lUdc come dellala estremista del centrodestra, la Lega non si è lasciata scappare loccasione per ricambiare il torto al partito di Pier Ferdinando Casini. Ne ha infatti reclamato a gran voce l«espulsione» dallalleanza dopo il voto che ha spaccato lopposizione al Senato sul decreto di rifinanziamento delle missioni militari italiane allestero. Ma, per quanto scottati da polemiche precedenti, che hanno dato a Umberto Bossi la sensazione di un «odio» dei centristi democratici cristiani verso il suo movimento, penso che i leghisti farebbero un errore, anzi due, se continuassero a premere per una rottura definitiva con Casini.
Il primo errore è di sottovalutare i danni che la prosecuzione dello scontro, pur in presenza di molte intese locali già raggiunte con lUdc sulle candidature, potrebbe procurare al centrodestra nelle elezioni amministrative di fine maggio, specie dove le percentuali di Casini sono superiori alla media nazionale. Il secondo errore è di negare agli altri quel grado dautonomia che si esercita in proprio.
Se è vero, per esempio, che lUdc confermando il suo tradizionale voto favorevole alle missioni militari non ha condiviso le valutazioni degli alleati sugli «intervenuti mutamenti dello scenario», specie dopo il rafforzamento militare e politico conseguito in Afghanistan dai talebani con lo scambio fra i loro guerriglieri, scarcerati dal governo locale su richiesta di Roma, e il giornalista italiano sequestrato il mese scorso, è anche vero che Bossi è stato lunico, tra i leader del centrodestra, a non protestare. Egli ha mostrato comprensione per quello scambio, che pure si rivela sempre più inquietante e incongruo. Infatti già se ne reclama un altro con linterprete afghano rimasto nelle mani dei sequestratori del giornalista per una stranissima distrazione, se non peggio, dei mediatori di Emergency scelti dal governo italiano.
Ma, al di là della vicenda afghana, vorrei ricordare il diritto rivendicato dai leghisti allaccordo «anche con il diavolo» pur di riprendere il percorso del federalismo fiscale, incluso con furbizia e disinvoltura dal presidente del Consiglio dopo la rocambolesca crisi di febbraio tra le priorità del suo governo.
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