Felicita Frai, un secolo di fanciulle in fiore

«E soprattutto dica che ci voleva coraggio, tanto coraggio! Ci voleva coraggio per una donna che intendesse dedicarsi alla pittura. Perché nessuno ti prendeva sul serio». Così Felicita Frai ha dichiarato una volta a chi le chiedeva della sua esperienza.
Felicita Frai compirà cento anni il prossimo 20 ottobre, autentica decana della pittura femminile. È nata a Praga con il nome di Felice Frajova, sotto l’impero asburgico di Francesco Giuseppe e si è trasferita in Italia ancora bambina. Trieste, città mitteleuropea, è stato il suo primo approdo. Trieste, città fondamentale anche nell’esperienza umana e artistica di Leonor Fini. In Italia la boema Frajova divenne Frai.
In realtà (qualunque sia stato il clima di disprezzo che fino a non molto tempo fa gravava sulle donne artiste) Felicita di critici e scrittori che l’hanno presa sul serio ne ha contati molti, da Raffaele Carrieri a Guido Ballo, da Repaci a Solmi, da Buzzati a Montale. De Chirico, che era ben poco indulgente con i colleghi, nelle Memorie della mia vita l’aveva inserita in un elenco di «buoni pittori» che non arrivava alla decina.
La ricerca di Felicita Frai, purtroppo, non è molto conosciuta. Parliamo della sua stagione più importante, che va dagli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta, quando l’artista oltre che col cavalletto si era misurata anche con l’affresco e tra l’altro aveva lavorato a Ferrara accanto ad Achille Funi. Esistono di quell’epoca suoi ritratti di sottile intensità. Pensiamo, per esempio, a un ritratto a china di Ungaretti del 1945, dove il volto dello scrittore ha un’espressione indefinibile: amara ma anche severa, venata non sai se di sarcasmo o di disillusione. È un volto che fa pensare a una sua poesia di poco successiva (1946), che inizia con i versi: «Cessate di uccidere i morti/ non gridate più», e si conclude accennando all’erba «lieta dove non passa l’uomo».
Felicita Frai ha sempre avuto il genio del ritratto, dell’introspezione psicologica. Nei decenni più recenti, invece, si è orientata verso una pittura sempre più fiabesca, dove i volti di donna sembrano fiori e i fiori sembrano farfalle. Donne come fiori si intitola appunto un suo quadro, dove compare un gruppo di ragazzine liete e pensose che sembrano non aver bisogno di nessuno. La pittura è affabile, con effetti di piacevole levità. Per il nostro gusto, anzi, proprio la piacevolezza è il suo pregio e il suo limite. Ma lei ci tiene a sottolineare di aver dipinto per tutta la vita quasi un unico motivo in tutte le tecniche, «l’immagine femminile in infinite variazioni».


Felicita Frai, comunque, è sempre stata anche un’intensa colorista e il colore è sempre stato il segreto della sua ricerca. È un colore, il suo, luminoso, vivace, misteriosamente vellutato: un po’ fiabesco anch’esso.

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