Fellini, il cabaret e un Pirandello «lunare»

I giganti della montagna appartengono al periodo surrealista del teatro pirandelliano. Di quella produzione matura (che comprende pure La nuova colonia e Lazzaro) rappresentano l’estremo approdo o, se vogliamo, l’ambiguità stessa alla quale il grande autore siciliano, inquieto indagatore dell’inconciliabile matrimonio tra arte e vita, realtà e finzione, dovette giocoforza arrendersi: «L’opera - scrive in una lettera a Marta Abba - avrebbe dovuto essere il trionfo della fantasia! Il trionfo della poesia; ma insieme anche la tragedia della poesia in mezzo a questo brutale mondo moderno». Si tratta dunque di una resa. Di un «mito» che, tanto più perché rimasto incompiuto, celebra la definitiva cesura tra mondo e creazione artistica. Eppure è proprio nella sua incompiutezza che questo testo, magico e complesso, finisce con l’aprirsi a molteplici possibilità di re-invenzione. Prova ne sia l’allestimento che Federico Tiezzi presenta ancora per pochi giorni all’Argentina. Chi conosce la produzione di questo raffinato regista (qui ideatore di un progetto che coinvolge pure Sandro Lombardi/il mago Crotone e Marion D’Amburgo/La Sgricia) vi ritroverà molti elementi comuni ai suoi precedenti lavori. L’impianto scenico è lunare e insieme circense; l’atmosfera generale richiama il cinema di Fellini e un certo gusto per il migliore cabaret; la geometria stilizzata delle varie scene evoca un’iconografia ricca di rimandi pittorici; la recitazione è volutamente in equilibrio tra leggerezza (basti considerare la naturale e sempre incisiva levità di Lombardi), registri grotteschi (vi si misurano sia i febbrili Scalognati che abitano la villa di Crotone sia l’ottimo Caratterista di Massimo Verdastro) e, di contro, tensioni più materiali e palpabili (la Ilse di Iaia Forte si distacca molto dall’immagine fragile ed eterea «tramandata» da attrici come Lilla Brignone, Valentina Cortese, Andrea Jonasson). Tuttavia questo lavoro risente di qualche incertezza, soprattutto nella prima parte. Si fa fatica a entrare in medias res, complice il piglio coraggioso con cui Tiezzi, sin dalla prima battuta, rilegge e «riscrive» la vicenda. Nella seconda parte, invece, è proprio quest’arguta originalità a tradursi in una comunicazione chiara, attuale, persino profetica. L’arsenale delle apparizioni si presta cioè a fungere da theatrum artium dove far confluire e «confliggere» cinema (garante ne è l’abilità magica del fantasma/demiurgo Crotone), teatro (incarnato dall’attrice Ilse e dalla sua compagnia) e televisione (qui sinonimo dei minacciosi giganti del titolo).

E alla fine? Dopo che un grande schermo televisivo (ma dietro di esso si intravedono critiche alla cultura tout court) ha occupato il fondo della scena, non resta che salutare un nuovo «possibile» finale: quello che Franco Scaldati, autore siciliano tra i più apprezzati del nostro teatro, ha scritto appositamente per questo spettacolo, marcandone la declinazione metateatrale e il drammatico senso di resa alla realtà.

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