Tanto varrebbe ributtarli in mare. I Bronzi hanno 50 anni ma ahinoi ne dimostrano 2500. È passato (invano) mezzo secolo da quando il sub e archeologo dilettante Stefano Mariottini li trovò a 300 metri dalla spiaggia di Riace, in Calabria, nel caldissimo Ferragosto del 1972. E a mezzo secolo di distanza non se li fila quasi nessuno. Potevano essere un simbolo, un'icona del Sud. Macché. A distanza di cinquant'anni il modo in cui sono stati realizzati è ancora un mistero, come per i menhir di Stonehenge, la piramide di Cheope o le teste dell'Isola di Pasqua. Un giallo che profuma di mare e di storia ma anche di psichiatria: sono alti 1,98 e 1,97 metri e pesano 160 kg, hanno labbra e capezzoli di rame per imitarne il colore naturale, occhi di calcite, ambrati. Un Bronzo ha anche i denti d'argento. E si capirà perché.
Finalmente il governatore della Calabria Roberto Occhiuto ha chiesto di inserirli nel patrimonio Unesco. Ci vorranno molti anni, diciamo che ci si poteva svegliare un po' prima, non certo coniando un orrido logo che sembra uscito da WordArt. In Italia abbiamo le uniche statue al mondo ad avere la caruncola lacrimale realizzata con una pietra rosa posta fra occhi e naso. Ma non abbiamo più lacrime. Chisti simu, questi siamo. «I Bronzi potevano essere la Coca Cola della Calabria, c'era la possibilità di una declinazione universale ma nessuno ha investito nella loro narrazione», dice amareggiato Klaus Davi. Spostarli da Reggio Calabria sarebbe ingiusto ma soprattutto impossibile, perché per quanto siano simbolo di forza e vigore, le statue sono estremamente fragili. Altro che «ostaggio della 'ndrangheta», come dice Vittorio Sgarbi. Una forza debole, come il legame antropologico con quel che resta della Magna Grecia, spiega Carmelina Sicari nel suo breve saggio Profezia dei Bronzi: «I due guerrieri sono l'icona dell'uomo greco, totalmente compos sui (padrone di sé, ndr) e regista dell'armonia mente-corpo». Perché profezia? «Perché insieme sono la profezia dell'uomo futuro, capace di affrontare forti e temibili mutamenti mentre sorride di noi, dell'uomo che lo ha preceduto, carico di ammiccamenti e furbizie ma profondamente inetto».
Chi sono? E perché sono qui? E perché la loro storia è così importante? «Lo strato di bronzo di cui sono fatti sarà spesso poco più di un centimetro», dice Daniele Castrizio, professore di Numismatica greca e romana all'Università di Messina e membro del comitato scientifico del Museo archeologico di Reggio Calabria, autore di una App che li riproduce in 3D, forse l'unico che li conosce da sempre. La sua ricostruzione si basa su anni passati a spulciare libri polverosi ma anche laboratori di chimica. Le molecole di argilla con cui furono creati i modelli poi utilizzati per gli stampi in cera nei quali fu colato il bronzo non mentono. «I Bronzi erano biondi e dorati e furono realizzati ad Argos, nel Peloponneso greco, entrambi nella metà del V secolo a.C., a poca distanza temporale l'uno dall'altro, nella stessa bottega ma da maestranze diverse». La sua diagnosi medica è spietata («Una delle due statue ha una sorta di cancro alla gamba, non si possono spostare da qui»), il suo racconto da storico lascia a bocca aperta. E spiazza: «Erano cinque ed erano biondi e dorati, il nero lucido è il colore che assunsero dopo il restauro che subirono quando, dopo la conquista della Grecia e le spoliazioni del 146 a.C. di Lucio Mummio, furono trasferiti a Roma ed esposti almeno fino al IV d.C.». Non basta: «C'è un epigramma della Antologia Palatina che parla degli eroi di Argos portati via». E ancora. «Sono neri per una pittura allo zolfo dopo che si erano rotti, poi fusi e rimessi al loro posto. Le tracce sono state notate sulle natiche di A da Koichi Hada, professore dell'Università Cristiana di Tokyo, ipotesi confermata dal professor Giovanni Buccolieri dell'Università del Salento». Il braccio sinistro di A e l'avambraccio sinistro di B sono stati rifatti in epoca romana. Chi ha fatto B ha messo sulla forma interna ricoperta di cera dei salsicciotti di argilla, a simulare le costole. La statua B è diversa dalla A e ne corregge gli errori, come la scatola cranica deformata per l'elmo che in A era fissato con una barra di ferro, anche se il Bronzo giovane tra quelle arrivate sino a noi dall'antichità rimane comunque la statua perfetta nella tecnica di fusione del bronzo, formato da una lega che contiene rame acquistato in Spagna per una statua e a Cipro per l'altra. È stato modellato tutto a mano, i riccioli dei capelli sono stati lavorati singolarmente». La mano, le mani che li hanno fatti sono di Reggio Calabria? Forse. «Proprio ad Argos allora c'era la bottega di Pythagoras di Reggio, il bronzista considerato da Plinio tra gli eccelsi, con Fidia, Mirone e Policleto, nella cui bottega lavorava il nipote Sostrato».
La loro carta d'identità è intinta nell'inchiostro magnogreco ma anche nel Novecento. «Sono Eteocle e Polinice, figli di Edipo re di Tebe e fratelli di Antigone». Secondo Castrizio facevano parte di un gruppo di statue «che rappresentava il momento subito precedente il duello fratricida fra Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, del mito dei Sette a Tebe collegato con quello di Edipo». La statua della madre Euryganeia (o Giocasta, a seconda delle versioni), mai ritrovata, aveva le braccia allargate, disperata mentre cerca di dissuaderli dal combattere, davanti alla figlia Antigone e all'indovino Tiresia.
È una rivisitazione «buonista» della tragedia attica, quella magnogreca, contenuta nel Papiro di Lille, attribuito al poeta Stesicoro, che parla di una Tebaide, l'originario racconto della storia di Edipo e dei suoi figli, diversa da quella di Sofocle in cui Giocasta è morta suicida quando capisce di aver sposato il primo figlio, Edipo. Anche se secondo una versione la vera mamma di Eteocle e Polinice sarebbe Euryganeia, prima moglie di Edipo e figlia a sua volta di Iperfante. «Secondo la mia ricostruzione A fissa B perché erano l'uno di fronte all'altro. Sono loro», insiste Castrizio. Tanto che nel testo del poeta latino Stazio, che vede le statue ma non conosce la versione di Stesicoro, la statua B guarda in modo ostile (hostile tuens) la A, che per tutta risposta digrigna i denti. Ecco perché sono d'argento e la sua bocca è aperta.
E perché sono affondati? Probabilmente i Bronzi viaggiavano assieme ad altre opere d'arte verso Costantinopoli nel IV d.C. ma una tempesta avrebbe affondato la nave, disperdendone il prezioso carico.
Cosa resta di questa storia affascinante? Qualche pagina di giornale con cui incartare il pesce, qualche libro (come i due scritti da Giuseppe Braghò), e la baracconata del reporter Gerald Bruneau, che nel 2014 ingannò la Sovrintendenza trasformando i Bronzi in due icone gay, agghindandoli con boa di struzzo fucsia, slip leopardato e lunghi veli da sposa. Un oltraggio servito per raccogliere un mucchietto di clic per Dagospia e poco o nulla più. Ma almeno per un po' si è parlato di loro...
D'altronde, vedere ministri dei Beni Culturali dai Bronzi è un evento raro. Dario Franceschini che è ministro da sei anni ci è andato una volta con Matteo Renzi, Massimo Bray idem, Giovanna Melandri voleva fare due cloni da mandare alle Olimpiadi di Atene ma non li ha mai visti, ed è in ottima compagnia. Il progetto di portare le copie a spasso, peraltro, è stato sventato dopo la scoperta e l'inchiesta del sottoscritto nell'estate del 1998 sul settimanale Le Calabrie.
E dunque? A cinquant'anni di distanza la Calabria è rimasta più o meno la stessa, i Bronzi sono stati ripuliti e restaurati a dovere, il Museo guidato da Carmelo Malacrino che li ospita trasuda storia e reperti come l'intera città ma non ha più personale (solo 33 addetti su 95 disponibili), lui più che offrirsi personalmente come guida non può fare. L'ultimo dirigente al Museo se l'è preso la Sovrintendenza, che vuole smantellare la dirimpettaia Piazza de Nava, preda di una furia iconoclasta contro il suo stesso precedente parere. Sulla vicenda pende il sospetto di qualche magheggio, tanto che la Procura - che ha appena decapitato l'Università Mediterranea per presunto peculato di Rettore ed ex Rettore - vuole vederci chiaro. La 'ndrangheta, che qui detta legge e ordine persino ai funerali, da anni snobba i Bronzi quanto il piombo e preferisce bitcoin e cryptoasset per riciclare i ricavi del narcotraffico di cui è ormai monopolista mondiale. La classe politica reggina ha il respiro cortissimo, la città è praticamente morta, gli intellettuali latitano.
Qui dove è nata la filosofia, la giurisprudenza e la matematica la mamma Giocasta i figli non se li è sposati, quelli che non sono scappati al Nord se li è proprio mangiati. Sono rimasti solo i Bronzi. E se potessero muoversi, si ributterebbero nel mare dove sono stati così bene.
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