da Milano
Si potrebbe definire «laccordo numero 23 siglato da Marchionne da quando è amministratore delegato Fiat» oppure «la ricerca del tempo perduto»: entrambe le definizioni vanno bene per il memorandum di intesa firmato ieri tra il gruppo del Lingotto e la cinese Chery per la creazione di una joint venture paritetica che prevede la produzione in Cina di 175mila auto Fiat a Alfa Romeo destinate a quel mercato. Lavvio della produzione è previsto per il 2009.
Lannuncio dellintesa cinese non sembra però aver giovato molto allandamento del titolo torinese, positivo fino a metà seduta, ma che ha poi repentinamente imboccato la strada del ribasso nel primo pomeriggio, arrivando a perdere oltre il 3% per poi chiudere a meno 2,69%. È stato scambiato il 3,8% del capitale. Secondo i trader, le Fiat hanno subito la pressione delle vendite di qualche investitore istituzionale, incoraggiato ad alleggerire il portafoglio dallandamento debole dellintero settore. Poi, una volta che le azioni hanno rotto al ribasso la soglia dei 20 euro, hanno ampliato le perdite. A Piazza Affari, comunque, cè stato anche chi ha ipotizzato che le Fiat fossero oggetto di collocamento da parte di Unicredit (+3,2%), lunico istituto rimasto nel capitale con una quota del 5,1% (con uno 0,29% di Capitalia). Dal quartier generale della banca di piazza Cordusio, però, è arrivata una smentita. Il titolo del Lingotto aveva già registrato un pesante cedimento nel giorno della presentazione dei risultati del secondo trimestre, chiuso positivamente. In tutte e due le occasioni il Lingotto ne ha approfittato per acquistare azioni proprie nellambito dellannunciato piano di riacquisto: ieri ne ha rastrellato 1,11 milioni a 19,7 euro. In ogni caso le azioni Fiat sono reduci da una galoppata che questanno le ha portate ad essere quelle con la miglior performance tra i titoli di riferimento.
Ma torniamo allaccordo «cinese»: la Fiat sta cercando di recuperare terreno sul mercato che a livello mondiale ha il tasso di crescita più elevato, ma sul quale finora non ha mai sfondato. Colpa forse dei modelli proposti, poco adatti alle richieste della clientela locale, colpa (ha sottolineato più volte Marchionne) della scarsa collaborazione esistente con la Nangjing Auto Corporation (Nac): i volumi di vendita sono rimasti sotto le attese, non superando i 30mila pezzi lanno. La Nac ha recentemente rilevato il controllo dellinglese Rover e sta profondendo tutte le sue energie in questo marchio, che potrebbe essere non solo utilizzato a livello locale, ma anche rilanciato sul mercato europeo. Così laccordo con la Chery assume una doppia valenza: un«ultima chiamata» per la Nac, ma soprattutto una diversificazione nelle alleanze in quel paese. Chery è uno dei principali produttori cinesi e anche il primo esportatore e diventa così il principale interlocutore cinese del gruppo torinese. Laltra importante controparte della Fiat in Cina è la Saic, che collabora con lIveco nel settore dei veicoli industriali.
Infine restano da valutare le prospettive nel merito: da un lato cè il fatto che nellintesa è compreso il marchio Alfa Romeo, per il quale Marchionne sta cercando con decisione un rilancio. Chery e Fiat puntano molto sullAlfa, che gode di notevole prestigio in Cina e che permetterebbe di portare a 300mila il numero delle vetture del Biscione vendute in tutto il mondo entro il 2010. Chery potrebbe essere la carta per raggiungere questo obiettivo. Laltro aspetto è la tempistica: laccordo di ieri parla di un inizio della produzione nel 2009. Il mercato cinese si muove rapidissimo, la burocrazia locale un po meno. Per finalizzare laccordo che prevede la vendita di motori Chery alla Fiat, «chiuso» lunedì scorso, ci sono voluti una decina di mesi.
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