La fiducia c’è ma si andrà a votare perché la maggioranza numerica non corrisponde a quella politica. Il «sì» al discorso di Berlusconi votato dal gruppo dei finiani è infatti una patacca, uno stratagemma per prendere ancora un po’ di tempo prima di pugnalare alle spalle la maggioranza. Poco tempo, quello necessario per trasformare il gruppo parlamentare in un partito. Il primo passo è già stato fissato per martedì prossimo. Questa è la sintesi di quanto è accaduto ieri alla Camera dove il governo ha superato l’ostacolo solo grazie ai voti dei finiani ( e del governatore siciliano Lombardo). Ovvio che da oggi Pdl e Lega da soli non hanno i numeri per garantire che la legislatura vada avanti secondo i patti stabiliti con gli elettori.
Berlusconi ha fatto un ultimo tentativo, violentando la propria indole battagliera, forse un’ultima concessione al gruppo delle colombe che lo circonda. Ha parlato con tono pacato di senso di responsabilità, ha spiegato la necessità di andare avanti, ha elencato le non poche cose fatte, ha prospettato quelle da fare. Su quest’ultime è stato intransigente. Su quanto promesso agli italiani, ha detto, non si tratta, quindi «sì» senza condizioni alla riforma della giustizia (compresa la difesa della politica dagli attacchi della magistratura) e «sì» al federalismo subito. Cose inaccettabili per Fini, che nel rallentare ed annacquare entrambe le riforme vede un doppio grimaldello: far cadere per via extraparlamentare Berlusconi e far saltare il patto di ferro tra questi e Bossi. La manovra a tenaglia era e resta il piano inconfessabile del presidente della Camera, che in questo ha buoni alleati: magistrati e opposizione.
Che Fini non possa più essere il presidente della Camera, da ieri è evidente a tutti. L’aver permesso a Di Pietro, contro ogni buon senso e regolamento, di insultare il premier, il suo malcelato compiacimento per quell’aggressione fatta di ingiurie, sono solo il sintomo più evidente che non è più un arbitro imparziale. Non solo. Annunciare la nascita del nuovo partito senza contemporaneamente rimettere il mandato è l’ennesima furberia che stride con la richiesta di etica e lealtà politica sbandierata dal Fli. Certo, se la legislatura dovesse proseguire, Fini, come abbiamo scritto ieri, difficilmente potrebbe restare al suo posto. Ma con l’avvicinarsi delle elezioni il calcolo cambia. E diventa: resto, così mi faccio pagare la campagna elettorale dalla Camera invece che dal partito, e sfrutto la carica istituzionale per una visibilità che altrimenti non avrei.
Un partito di imbroglioni, insomma, che dice di voler rimanere nella maggioranza ma non ha speso una parola contro Di Pietro, che vota una fiducia nella quale non crede, che per quindici anni ha condiviso con entusiasmo ed enormi vantaggi scelte e strategie di Berlusconi e che ora scarica tutti i problemi su di lui, come se fosse
stato da sempre all’opposizione o sulla Luna.Maroni ha tirato le somme della giornata: si va a votare tra marzo e aprile. Credo che abbia ragione e che sia meglio così. Gli elettori capiranno chi ha tradito e perché.
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