nostro inviato
sulla Statale dello Stelvio
Niente pedaggio, niente balzelli. Ma troppi sobbalzi. Se non avete niente meglio da fare godetevi in questi giorni di vacanza una Milano-Bormio sull'otto volante del dissesto stradale. Partite subito con le emozioni più indimenticabili che vi potrà regalare il tratto iniziale di questo vostro itinerario, ovvero la Ss36 (meglio conosciuta, forse, come Statale del lago di Como e dello Spluga) che, almeno da Monza a Carate, vi consentirà di scegliere: tre corsie, tre tipi di asfalto. Sempre e comunque malconcio. Che non combacia mai da una corsia all'altra. Quindi? Sobbalzi differenti più o meno intensi, ad ogni cambio di corsia. Ma non solo: la possibilità di decidere con assoluta discrezione quanto spazio occupare, e dove occuparlo, con la vostra auto. Perché le linee che delimitano le tre corsie non ci sono e quando ci sono, sono talmente consunte da impallidire loro stesse per la vergogna. Comunque se tenete duro, se resistete a questo impatto sconfortante, proseguite. Perché, unica consolazione, quando avrete completato la prima parte del vostro itinerario e avrete lasciato la Ss36 e la catastrofica situazione in cui è stata abbandonata da chi avrebbe l'incarico di gestirla, persino la statale dello Stelvio, la Ss 38 , una sola corsia di andata e una di ritorno, coi suoi rallentamenti, con i suoi attraversamenti dei centri abitati valtellinesi, che consentono in taluni casi , di andare a non più di venti all'ora e con le sue code inevitabili, in prossimità di rotatorie e di semafori, vi sembrerà un Paradiso.
Sono le 9.20 quando all'uscita da Milano, sulla tangenziale, insolitamente semideserta, per raggiungere Monza, mi illudo di poter rispettare, strada facendo, non solo i limiti di velocità, quelli sì, come al solito, visto che sono lo scopo di questo viaggio-inchiesta stradale attraverso l'Italia, ma anche il tempo stimato dal navigatore, che indica come ora di arrivo a Bormio le 12.10. E invece capisco subito che non è aria, quando, appena imboccata la Ss 36, senza alcuna indicazione che precede i lavori in corso deve bruscamente sterzare per evitare due operai che stano potando la siepe del guardrail centrale. Bella idea, specie in questi giorni d'esodo e controesodo. E complimenti per il modo con cui è stata organizzata. Ma restiamo un attimo sul tema dei limiti di velocità. Occorre sapere che sulla Monza-Lecco è stato stabilito che non si possa andare a più di 90 all'ora. Perché? Perché è considerata strada extraurbana secondaria e non strada extraurbana principale, come la rilevanza del suo percorso farebbe pensare. Del resto la motivazione del provvedimento restrittivo è sotto gli occhi di tutti , mentre la si percorre. Mancano determinati requisiti, in particolare, a quanto ci risulta, gli accessi laterali (fosse solo questa la mancanza che abbiamo riscontrato) non sono conformi alla normativa in merito. Da qui l'impossibilità di «ammettere» questa strada alla categoria superiore. In ogni caso, anche volendo, non riesco andare a più di 70 all'ora. Piove, non ci sono le linee , come dicevo poc'anzi, che delimitano le tre corsie di marcia e l'asfalto non è certo drenante, anzi, non è neppure asfalto. E le buche sono sempre in agguato. Una vera disperazione per i motociclisti che ci precedono e che vediamo sobbalzare pericolosamente. Superato il bivio per Erba l'asfalto migliora leggermente, ma nel frattempo la Ss 36 si è ristretta a due corsie di marcia e quindi gli automobilisti rispettano diligentemente i limiti. E siamo a Lecco . Per la cronaca gioverà forse ricordare che alle soglie del 2000, per esser precisi il 25 ottobre del 1999 è stata inaugurata una variante che prolunga il tratto «veloce» sino a superare la città, mediante il traforo del Monte Barro e la galleria sotto il centro di Lecco. Di fatto la Ss 36 sfocia nella Ss 38 all'altezza dello svincolo di Piantedo, e qui che ufficialmente comincia la Statale dello Stelvio, che percorre la Valtellina in direzione Sondrio, Bormio e infine Bolzano. Ed è qui che la statale 36 prosegue invece per i fatti suoi e imbocca la val Chiavenna. Ed è da qui, da qui in poi, scusate se insisto, ma l'argomento è discretamente interessante, che comincia una sequela di gallerie illuminate con luce fioca all'interno delle quali non si trova alcun segnale di limite di velocità. Giusto all'ingresso di qualcuna compare un cartello: a volte 90 all'ora a volte 100 all'ora. Ma cento, o anche 90 all'ora, non sono un po' troppo per abbordare una galleria, anche in condizioni climatiche ideali? Sì, sono decisamente troppo, la conferma l'avrò al ritorno quando, sole splendente, per i primi metri d'ingresso (che sono anche i più pericolosi nel caso di un incontro ravvicinato con un veicolo in panne) in gran parte delle gallerie, dovrò procedere a tentoni nel buio pesto. E le vie di fuga? Non sembrano esserci, come percepisco nella galleria del Sorbino. O, se ci sono, sono ben mimetizzate al pari di certi cartelli che segnalano le prossime uscite ma che sono del tutto inutili, essendo piazzati al buio e in posizione seminascosta. In compenso,come un'oasi nel deserto segnaletico, compare, giusto per avvertirci di qualcosa, un cartello che ricorda di rispettare la distanza di sicurezza. Ingresso a cento all'ora anche nella galleria Fiumelatte e nella galleria Corenno, decisamente la più sgangherata e malconcia dei tunnel che sto infilando per arrivare alla meta. E da un pezzo che, con una sola corsia d'andata e una di ritorno, e gli attraversamenti dei centri abitati l'andamento lento è d'obbligo.
(7. Continua)
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