Il film sulla Bibbia che batte «Avatar»

New YorkIl film che ha scalzato Avatar dal trono del box office degli States è ambientato anch’esso in un mondo apocalittico e violento. Ma stavolta sono dei profondi sentimenti cristiani e le Sacre scritture a far correre gli americani nelle sale cinematografiche.
The Book of Eli è uscito solo venerdì nei cinema e grazie alla performance del suo protagonista, Denzel Washington, ha venduto più biglietti di Avatar, un film che i cristiani hanno giudicato blasfemo ma che ha già battuto, come incassi, titoli leggendari come Guerre stellari, Harry Potter, Jurassic Park e Il signore degli anelli.
Nella storia di Hollywood solo Titanic, sempre del solito James Cameron, ha avuto un successo superiore a quello di Avatar ma forse adesso, dopo cinque settimane consecutive in vetta al botteghino, il film ambientato sul pianeta Pandora e che aveva ottenuto ben quattro nomine ai Golden Globe, potrebbe aver trovato un avversario alla sua altezza.
Al debutto nelle sale americane di venerdì, The Book of Eli ha incassato difatti, in un solo giorno, ben 11,7 milioni di dollari, 1,3 in più rispetto ad Avatar (mentre ieri il film di Cameron ha recuperato). E il suo protagonista sta incuriosendo gli americani col suo attaccamento alle Sacre scritture.
Sono passati sei anni da quando The Passion di Mel Gibson ha ricordato ai guru di Hollywood che negli Usa esisteva un pubblico di credenti, capace di mobilitarsi in massa per vedere un film che difendesse i valori cristiani. Come in The Passion, anche in questa nuova pellicola la violenza non manca: in The Book of Eli la Bibbia è mescolata al sangue, al kung fu e in un mondo post apocalittico distrutto «dall’ultima guerra». Un olocausto nucleare che ha trasformato il pianeta in una landa desolata, dove l’acqua scarseggia e dove, come nel Far West, ognuno si fa giustizia da solo.
L’arma vincente di The Book of Eli è lui, Denzel Washington, che ha alle spalle due oscar e una lunga serie di pellicole di successo; Washington, che è figlio di un pastore pentecostale, frequenta una chiesa carismatica ed è stato definito dalla rivista Hollywood Reporter «il personaggio cristiano più importante nel cinema dopo Mel Gibson».
Nella pellicola diretta dai fratelli Allen e Albert Hughes l’attore nero veste i panni di Eli, un eremita chiamato da Dio, in quel mondo apocalittico senza più speranza, a portare in California - vagabondando per trent’anni - il misterioso contenuto della sua saccoccia: l’ultima copia rimasta al mondo della Bibbia di re Giacomo (la traduzione dei vangeli commissionata dal re inglese e pubblicata nel 1611), che lui conosce a memoria.
In molti cercano di strappargli il «libro», ma lui, come un classico eroe degli spaghetti western, lo difende fino a sfoderare mirabolanti mosse di kung fu (che l’attore ha praticato insieme a un maestro di Bruce Lee) e massacrare con un machete orde di criminali, cannibali, assassini. La pellicola è così violenta da essere vietata ai minori di 14 anni (come del resto era stato The Passion) eppure riviste, quotidiani e siti cristiani l’applaudono. «In mezzo a un cinema che propone copioni pagani come Avatar e 2012», si legge sul mensile cristiano The world, The Book of Eli rappresenta un sorso di acqua limpida per noi credenti». Certo, i record di quei kolossal sono lontani, ma lo sono anche i budget per la realizzazione di Avatar che, per giunta e non solo qui in America, ha goduto di una macchina promozionale senza precedenti.
Nel suo cammino in un mondo senza più né piante né animali (Eli si ciba degli ultimi gatti selvatici) il protagonista diventa di volta in volta più duro, soprattutto quando viene attaccato da un gangster di nome Carnegie (Gary Oldman) - descritto dal critico del New York Post come una via di mezzo tra Mussolini e Brigham Young, il fondatore della setta dei Mormoni - deciso a usare la Bibbia per comandare il mondo.
In un’epoca in cui i cristiani americani si sentono politicamente discriminati e in cui la sfida del terrorismo islamico è costante e spesso i media si prendono gioco dello stile di vita del mondo cattolico e protestante, secondo i siti e le riviste di orientamento religioso anche un film violento come The Book of Eli può servire a difendere i valori della fede.

Non a caso i due fratelli registi hanno chiesto a Gary Whitta, uno sceneggiatore di educazione cristiana, di scegliere i versi delle sacre scritture che, nel mondo nichilista post-catastrofe, Washington recita come una litania. Dipingendolo come una «parabola moderna» il critico del New York Post scrive: «Il film è fatto benissimo ed è apertamente cristiano. Col suo vagabondare selvaggio, Eli sta compiendo una missione divina».

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