"Elle" di Paul Verhoeven esce finalmente nelle sale italiane dopo essere stato presentato allo scorso Festival di Cannes ed aver fatto incetta di premi, tra cui il Golden Globe come miglior film straniero e il César come miglior film.
Il discusso regista, conosciuto dal pubblico di massa per il blockbuster americano "Basic Istinct", torna a far parlare di sé per un'opera d'autore in cui la sua nota vena provocatoria s'imbeve d'allure francese. Adattata dal romanzo "Oh ..." di Philippe Djian e sceneggiata da David Birke, "Elle" è un'opera a dir poco spiazzante, originale in un modo quasi perverso e senza dubbio difficile da dimenticare.
Michelle (Isabelle Huppert) è una donna di grande fascino che ha superato la mezz'età. Rimane vittima di un'aggressione sessuale consumatasi nella sua abitazione ma decide di non sporgere denuncia e di continuare la sua vita come nulla fosse accaduto. Quando lo stupratore torna a farsi vivo, la donna si trova ad interagire con lui in una specie di gioco estremo e pericoloso.
Nonostante l'incipit coincida con la scena della violenza, il dramma si trasforma ben presto in un thriller dalla tensione crescente e la commistione di generi prosegue, infine, con incursioni nella black comedy. "Elle" avanza con una disinvoltura sorprendente e talvolta disturbante in equilibrio grottesco tra crudezza narrativa e momenti di liberatoria ilarità. L'effetto di cambi di registro tanto repentini è senza dubbio straniante. Un film così poco convenzionale si presta a più chiavi di lettura (tra le altre, la critica a una certa borghesia). Di sicuro l'ambiguità morale, i contenuti controversi e la natura sovversiva di Verhoeven, una volta calati nel mondo nel cinema d'autore francese diventano davvero accattivanti.
La "Elle" del titolo è un personaggio cui Isabelle Huppert si dona con una devozione assoluta, la sua performance ha un magnetismo senza pari. E' lei a dare a Michelle, attraverso corpo, voce e mestiere, quelle che sono caratteristiche pronte a dilagare fino a caratterizzare l'intero film: eleganza, erotismo, compostezza anaffettiva, cinismo "satanico" e ironia nerissima. In breve, un fascino unico, respingente e attraente al tempo stesso.
Il trucco è che Michelle allaccia il pubblico con l'imprinting emotivo della scena dello stupro, quando ancora nessuno sa quanto possa essere una persona sgradevole e crudele. Dopo averla vista violentare da uno sconosciuto scopriamo che anche la sua infanzia è stata in qualche modo violata, quindi non importa cosa le vedremo compiere: è due volte vittima ed è in virtù di quell'etichetta, che lei si è scrollata di dosso ma noi ci ostiniamo a vedere, che siamo pronti a non giudicarla. Il suo carisma particolare è accentuato dalla mancanza di scrupoli, dal sense of humor caustico e dalla sfrontatezza degli appetiti sessuali.
Il terzo e ultimo atto è una sfida alla propria tolleranza psicologica: ha uno sviluppo (la reazione di Michelle una volta scoperta l'identità dello stupratore) davvero ostico da accettare.
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