Finanza e sostenibilità non si possono unire unicamente per il sentiero "tecnico" degli obiettivi Esg sempre più dominanti. Si è analizzata in precedenza la visione di finanza sostenibile dei Paesi in via di sviluppo, centrata sul tema del microcredito e della valorizzazione della comunità, assieme al grande tema dell'approccio cattolico per una finanza capace di mettere l'uomo al centro dell'economia, sostanziatasi nel recente Manifesto di Assisi promosso dalla Global Foundation. Un approccio che sta prendendo sempre piede e offre prospettive interessanti è anche quello della finanza islamica che mira a strutturare il suo personale concetto di sostenibilità fin nelle fondamenta.
Secondo i praticanti della finanza islamica, l'obiettivo è conciliare gli insegnamenti del Corano in termini economici e sociali con la necessità di sviluppare sistemi produttivi e comunità. I prodotti della finanza islamica, con in testa i "bond" costruiti con i principi conformi alla Sharia (i sukuk) stanno conoscendo una fortuna crescente a partire da piazze internazionali come Abu Dhabi e Dubai per arrivare a Hong Kong, Londra, New York. Come riporta Valori, infatti, il giro d'affari dell'intermediazione e degli affari della finanza islamica "ha superato i 2 miliardi di dollari nel 2015 e, secondo le stime del Dubai Islamic Economy Development Center", avrà superato "3,5 miliardi nel 2021, con un incremento annuo del 12%".
"Finanza islamica e investimento sostenibile sono accomunati dall'obiettivo di generare un impatto sociale e ambientale positivo attraverso le attività finanziarie", in una sorta di superamento della prima fase dell'ingresso dei capitali arabi dei Paesi musulmani sui mercati, sdoganatisi principalmente sotto forma di investimenti ad alto tasso speculativo o senza fini di sviluppo in Paesi ad alto reddito (real estate, club sportivi, villaggi turistici e via dicendo).
Ma quali sono i principi con cui la finanza sostenibile vuole costruirsi fin dalle basi come sostenibile? In primo luogo, i suoi teorizzatori partono dalla lettera del Corano: parlando a Muhammad, Allah avrebbe vietato agli uomini il ribā, ovvero l'arricchimento a usura, il "fare soldi con i soldi" applicando ai prestiti tassi speculativi. La finanza islamica denota col concetto coranico della purezza la sua visione della liceità dell'investimento (ḥalāl) per escludere dai flussi dei capitali aree controverse come armi, droga, gioco d'azzardo. Un investimento sostenibile, per la finanza islamica, va inoltre valutato con una grande attenzione alla sua assenza di rischio (gharār). Tale principio invita a investire solo laddove esiste, al termine dell'investimento finanziario, un fine pratico riconoscibile e in grado di generare utilità, ad esempio in un titolo per il finanziamento di un'opera pubblica. Questi tre punti aprono come corollario al quarto pilastro, maysīr, in base al quale si certifica il rifiuto della speculazione fine a sé stesso e, quindi, delle scommesse nelle dark pools della "finanza ombra" tradizionale. Chiude il cerchio uno dei pilastri dell'Islam stesso, l'elemosina (zakāt). "Eseguite la Preghiera, pagate la Decima e prostratevi come gli altri in preghiera", dice il Corano, e per la finanza islamica la "decima" è la devoluzione di una percentuale degli utili annui in beneficienza.
Si tratta di una sorprendente coincidenza con quanto già espresso dalla dottrina cattolica. Papa Benedetto XVI, nel 2009, scriveva nell'enciclica Caritas in Veritate: "L'intero sistema finanziario deve essere finalizzato al sostegno di un vero sviluppo. Soprattutto, bisogna che l'intento di fare del bene non venga contrapposto a quello dell'effettiva capacità di produrre dei beni". Una presa di posizione che apre a sinergie di vedute col mondo della finanza islamica.
I sukuk sono la pratica dimostrazione dell'applicazione di questi principi. Tecnicamente, nota Valori, "e, si tratta di certificati di partecipazione rappresentativi di quote di proprietà indivisa su un patrimonio complessivo costituito da beni materiali – in gergo tecnico “asset backed securities”. I sukuk hanno di fatto il ruolo di titoli di finanziamento mirati a progetti materiali, e questo offre possibilità per sdoganare la potenzialità e attrarre capitali dai Paesi islamici verso i lidi finanziari occidentali per puntare sul connubio tra sviluppo e sostenibilità mettendo in campo i principi della finanza islamica per progetti ad alte ricadute in termini di Esg. Progetti nelle energie rinnovabili, nell'housing sociale, nelle infrastrutture "sostenibili", nella digitalizzazione, campi in cui da Paesi come gli Emirati Arabi Uniti partono spesso investimenti, possono essere un esempio.
Monte dei Paschi, nel 2015, riteneva inoltre possibile creare dividendi positivi per l'Italia sfruttando le potenzialità della finanza islamica per portare nel mercato anche la popolazione immigrata di religione musulmana: da 1,3 milioni di persone in Italia di fede islamica, si poteva sostenere una raccolta di 4,5 miliardi di euro in grado di produrre ritorni da 150 milioni di euro. Riprendere queste analisi dopo la pandemia può essere importante per capire uno dei più originali margini di sviluppo del mondo finanziario contemporaneo. Su cui l'Italia può e deve puntare senza pregiudizi per approfondire la corsa del suo sistema economico verso nuove tappe. E la finanza islamica può essere un abilitatore di nuove e profonde relazioni economiche capaci di fare di Roma un hub: nel Mediterraneo, guardando all'Africa settentrionale; a Est, rafforzando i rapporti con un Golfo che a Roma guarda sempre con attenzione; in prospettiva, verso l'Asia profonda, con le Repubbliche musulmane ex-sovietiche desiderose di inserirsi nei trend globali.
Con originalità il connubio tra sostenibilità e finanza può prendere anche la direzione della sua versione islamica. Evitando che a egemonizzarla siano figure più controverse nei Paesi di riferimento dell'Islam attuale.
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