Roma - Si guardano in faccia stupiti, ex azzurri ed ex aennini, come se avessero ascoltato le parole di un alieno. Anzi, come se al banco della presidenza sedesse il «leader dell’opposizione», per dirla con le parole del furibondo Osvaldo Napoli. Poi, pian piano, si alzano storditi dagli scranni, come pugili suonati. E un po’ alla rinfusa formano capannelli spontanei, rimanendo in aula, nonostante la sospensione. Montecitorio, ore 12. Il Popolo della libertà è sbigottito. Incredulo. Ma anche incavolato nero. Il motivo? Gianfranco Fini, che bolla come «deprecabile» la decisione del governo di porre la fiducia sulla Finanziaria.
«Ma è fuori di testa? Dove vuole andare a parare?», si chiede un suo vecchio collega di partito. «Non lo capisce che così manda gambe all’aria la maggioranza e delegittima il governo, dando una pugnalata al premier?», urla un berlusconiano. E poco importa, agli occhi dei pidiellini imbufaliti - all’indomani della visita di Fini in ospedale - che la terza carica dello Stato alzi la cornetta per chiamare il presidente del Consiglio. In prima battuta per sincerarsi delle sue condizioni di salute. E in seconda - fanno trapelare i suoi - per spiegargli la motivazione della sua uscita, dura e precisa, non estemporanea ma frutto di un testo già preparato. Così, mentre nella maggioranza monta il malumore («mai sentito un discorso così deprecabile da parte di un presidente della Camera», commenta Giorgio Stracquadanio), Fini tenta magari di contenere i danni, confidando al premier di essere rimasto interdetto dall’intervento «incendiario» di Fabrizio Cicchitto e che l’obiettivo primario del suo affondo era Giulio Tremonti. Perché nonostante ci fosse un accordo con l’opposizione - che «non ha tenuto né in commissione Bilancio né in aula atteggiamenti ostruzionistici» - allo scopo di limitare il numero degli emendamenti, il ministro dell’Economia non ha voluto sentire ragioni.
Ma la scelta per il termine «deprecabile», che implica un giudizio di merito, non va giù. Tanto per cominciare, non piace per nulla al relatore del disegno di legge in questione, Massimo Corsaro, vicino a Ignazio La Russa: «Non sono d’accordo con i toni» e «sono stupito dalla virulenza dell’attacco di Fini», che ha avuto una reazione «un po’ sopra le righe». Insomma, la maggior parte dei suoi vecchi compagni di partito, che alternano espressioni del tipo «rasoiata inutile» e «fendente gratuito», non lo difendono. Anzi, inquadra uno «sconsolato» deputato un tempo di via della Scrofa, «mi aspetterei adesso una vignetta con il souvenir del Duomo da una parte e quello di Montecitorio dall’altra, entrambi indirizzati al volto del premier».
Intanto, i finiani tentano di gettare acqua sul fuoco, talvolta con un po’ d’imbarazzo. Sembra essere il caso di Italo Bocchino, che ritiene semmai «superfluo», non certo deprecabile, il ricorso alla fiducia. Ma che è allo stesso tempo sicuro che le critiche di Fini non creano «problemi nella maggioranza». La pensa all’opposto Michele Scandroglio, deputato di estrazione Forza Italia, che da un divanetto nei pressi della buvette attacca: «Fini ha sbagliato» e ha «svilito il ruolo di terzietà che gli è proprio». Perché «una volta sceso nell’agone della politica si è esposto alle critiche politiche. E la prima impressione che un po’ sgomenta era: tu quoque?».
L’immagine del tradimento, della pugnalata di Bruto al Cavaliere, rimane pure a tarda sera. Quando alcuni parlamentari vicini a Maurizio Gasparri, ma non solo, la mettono giù così: «Per il momento non smuoviamo nulla, aspettiamo gennaio».
Quando, nel corso della convention delle fondazioni del centrodestra in programma ad Arezzo (FareFuturo esclusa, ovviamente), «chiariremo dove si colloca la vecchia An». Nel frattempo, già prenotati - anticipano - 2mila posti letto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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