È il 1873. La contessa Marija Baskirceva, aristocratica russa che da qualche mese soggiorna in Francia, ha un problema: la sua famiglia ha deciso di ritornare in patria e per le cagionevoli condizioni di salute i medici non la considerano in grado di affrontare il lungo e faticoso viaggio verso casa. Di fronte a lei si apre una prospettiva che giudica terribile: passare i mesi più caldi dell'anno in quella che, di lì a poco, inizierà a chiamarsi Costa Azzurra. La Contessa si sfoga sul diario: «Le estati a Nizza mi uccidono. Non c'è nessuno, mi viene da piangere e soffro. Si vive una volta sola. Passare un'estate a Nizza è come perdere metà della propria vita». Per la poverina, insomma, non c'è nulla di peggio che restare al mare nel periodo tra giugno e settembre. E, anche se può sembrare singolare, il suo pensiero riflette perfettamente lo spirito del tempo.
Nella seconda metà dell'Ottocento aristocrazia e alta-borghesia scoprono in tutta Europa una nuova passione: iniziano a trascurare la tradizionale villeggiatura per dedicarsi alle vacanze. Simbolo della prima, scrivono Alessandro Martini e Maurizio Francesconi ne «La moda della vacanza», appena pubblicato da Einaudi, sono le ville, di solito di proprietà familiare, in cui si trascorrono lunghi periodi di quiete e la cui mondanità è raccolta e riservata. Emblema della nuova era sono i Grand Hotel, luoghi dove le classi emergenti celebrano i nuovi riti, fatti di viaggi, feste e ostentazione.
I più temerari e avventurosi si spingono in montagna (in Italia tra i primi a lanciare la moda ci sono i Savoia), i più «passano» le terme. È l'età d'oro di centri come Bath, Baden Baden, Karlsbad, e dei loro grandi alberghi in stile Art Nouveau, frequentati da corti reali, magnati dell'industria, appassionati delle carte e dei casinò. Solo in Italia i centri termali di lusso censiti da una guida pubblicata all'inizio del secolo scorso sono 108.
Ma al concetto odierno di vacanza manca qualche cosa. E questo qualcosa è proprio l'accoppiata tanto aborrita dalla contessa Baskirceva: l'estate al mare. E, in particolare, l'estate sul Mare Mediterraneo. Il sole, il caldo, il pericolo di abbronzarsi, temutissimo dalla signorine di buona famiglia, tengono lontano dalla costa. E se di costa si deve trattare può essere al massimo quella dell'Atlantico: Ostenda, Dieppe Deauville, Biarritz, San Sebastian. Del resto, sin dai tempi della Restaurazione e per parecchi decenni, la Corte francese trascorre tutte le estati a Dieppe portando con sé la buona società della capitale. E nel 1848 viene istituito quello che prenderà il nome di «treno dei mariti». Parte da Parigi il sabato pomeriggio verso la località della Normandia e torna il lunedì mattina, in modo da consentire ai capifamiglia di trascorrere la domenica con moglie e figli. Come in certi film italiani degli anni del «boom».
Quanto al Mediterraneo, però, è tutta un'altra cosa. Restare al mare e soprattutto in «Costa Azzurra durante l'estate è semplicemente inconcepibile, anche per una questione di convenienza mondana», scrivono i già citati Martini e Francesconi. «E se proprio si deve rimanere, meglio non farsi vedere da nessuno».
Certo: Nizza, Cannes, Mentone, sono già terreno privilegiato per le aristocrazie del Nord Europa, sopratutto di russi e inglesi che accorrono in massa. A Nizza la Promenade des Anglais è già famosa quando la città è ancora sotto l'amministrazione dei Savoia. Anzi, sono loro ad avviare la costruzione di una passeggiata a mare che in dialetto nizzardo prende il nome di Camin des Anglais e che poi verrà progressivamente ampliata con l'arrivo dei francesi. Lo stesso vale per il Ponente ligure, e in particolare per Sanremo, prima stella turistica del mare italiano. Nel 1874 la zarina Maria Aleksandrova trascorre un periodo nella cittadina, ospite della contessa Adele di Roccasterone, moglie del sindaco. Da quell'anno le sue visite saranno numerose. E nel 1875, con il completamento della ferrovia Genova-Nizza, molte cittadine del Ponente entreranno nei più prestigiosi itinerari di viaggio.
Tutto però si svolge in inverno, i turisti sono detti hivernant (letteralmente: coloro che «svernano») e gli albergatori fanno fatica a trattenere fino al mese di maggio la clientela internazionale.
Per tutto l'Ottocento il Mare Mediterraneo, almeno per quanto riguarda il periodo estivo, sarà una meta riservata quasi solo agli italiani. E con motivazioni che hanno a che fare più con la medicina che con gli aspetti ludici e mondani del turismo. Come nel resto d'Europa i bagni in mare vengono ritenuti utili per i benefici considerati simili a quelli delle acque termali. Un medico di Lucca, Giuseppe Giannelli, nel 1833 scrive un testo, «Manuale per i bagni di mare» in cui è tra i primi a passare in rassegna le qualità salutari dell'idroterapia. A Viareggio realizza le prime istallazioni curative e la Toscana, nella zona tra la Versilia e Livorno, diventa una sorta di apripista nel settore. In alcune località sulla spiaggia vengono realizzati degli stabilimenti in muratura: sono costituiti da una serie di stanze dotate di vasca in cui viene fatta entrare l'acqua salata. Il mare si vede dalle finestre. In altri casi le esigenze di riservatezza e di pudore dei bagnanti vengono soddisfatte grazie alle cosiddette macchine da bagno: piccoli camerini in legno con delle ruote. Si entra sulla spiaggia vestiti di tutto punto. Il camerino viene spinto in mare e a quel punto il bagnante può entrare in acqua senza il disturbo di occhi indiscreti. Nella maggior parte dei casi gli stabilimenti balneari sono fatti di legno costruiti su palafitte, lunghi pontili che si prolungano verso il mare e camerini che consentono di calarsi direttamente in acqua, anche in questo caso per non mostrarsi in atteggiamenti al limite della sconvenienza. La scoperta delle virtù dello iodio, efficace contro molte malattie all'epoca, non fa altro che rinforzare il partito dei sostenitori delle virtù curative del mare. Anche per questo da noi resiste fino alla fine dell'Ottocento l'abitudine, consigliata da molti medici (e da tempo abbandonata nel resto d'Europa), di bere l'acqua marina come bibita, considerata utile per la sua azione calmante, ed efficace contro il rachitismo e le infiammazioni croniche del sistema linfatico.
Fino alla Prima guerra mondiale i bagni di mare estivi vedranno convivere nella mentalità comune l'aspetto medico e quello ludico. Progressivamente sarà quest'ultimo a prevalere. Ma solo negli anni Venti del secolo scorso la scoperta del mare estivo potrà definirsi compiuta. Anche perché in quel periodo cambia profondamente la clientela delle località turistiche. La guerra ha messo in ginocchio e in qualche caso annientato la vecchia aristocrazia di origine fondiaria. Il ceto emergente è quello della borghesia urbanizzata, in cerca di momenti di svago da ricavare tra i ritmi serrati legati alle esigenze produttive. In più in Europa si sono affacciati visitatori nuovi: «Tra il 1917 e il 1919 decine di migliaia di soldati yankees vengono sistemati negli hotel della Costa Azzurra», spiega Annunziata Berrino («Storia del turismo in Italia», Il Mulino). «Stupiti non comprendono perché disertare le coste mediterranee d'estate, loro che provengono da regioni che hanno estati torride».
C'è un romanzo che fissa definitivamente la nuova realtà, «Tenera è la notte», di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato nel 1934 in America, ma ambientato alla metà degli anni Venti in Costa Azzurra. Uno dei passi più conosciuti del libro parla del cambiamento delle abitudini dei turisti dell'alta società. La protagonista, una ragazza americana, arriva a Cap d'Antibes una mattina di giugno del 1925: «Sulla bella costa della riviera francese, a mezza strada tra Marsiglia e il confine italiano, sorge un albergo rosa, grande e orgoglioso. Palme deferenti ne rinfrescano la facciata rosata, e davanti a esso si stende una breve spiaggia abbagliante.
Recentemente è diventato un ritrovo estivo di gente importante e alla moda; dieci anni fa, quando in aprile la clientela inglese andava verso il Nord, era quasi deserto».Grazie al jet set soprattutto americano i dispiaceri della contessa Marija Baskirceva non sono ormai che un ricordo lontano.
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