Roma«In fondo, ragazzi, non ho mica detto nulla di particolare...». Gianfranco Fini sotto sotto se la ride, quando si avvicina al tavolo con in bella vista i taccuini, tra un piatto di portata e laltro. Perché in realtà, il presidente della Camera, chiamato a presiedere a Villa Miani la cena di autofinanziamento per la sua fondazione Farefuturo (600 invitati, mille euro a coperto è la cifra del «sostanzioso contributo»), non le manda a dire. A Silvio Berlusconi, a Sandro Bondi, alla Lega, a chiunque insista nel credere che il suo ruolo debba rimanere confinato al piano nobile di Montecitorio. «Non sono qui per fare un intervento politico-programmatico - attacca, in crescendo, prendendo la parola dopo Adolfo Urso e Renata Polverini, la candidata del Pdl alla Regione Lazio - perché il ruolo di presidente della Camera mi impone di non fare campagna elettorale, ma non mi esime dal dovere di fare politica. Questo qualcuno non lha capito, ma è bene che se lo metta in testa».
Ma è solo linizio. Si parla di economia, del pil che non può rappresentare, da solo, lelemento chiave per valutare il benessere di un Paese. E da lì il passo verso la battaglia anti-evasione è breve. «Non credo che siamo in uno stato di polizia, perché se lo fossimo non ci sarebbe questo livello di evasione fiscale. Ovvero, la piaga peggiore per il nostro Paese». Chissà come la prenderà il Cavaliere, che sullargomento batte di continuo.
La terza carica dello Stato va avanti come un rullo, dopo i maltagliati agli asparagi e prima della tagliata di manzo. E rivendica così il merito avuto dalla sua fondazione («qualche volta esagera, ma meno male che lo fa, altrimenti rischieremmo di appiattirci») nello stimolare il dibattito nel centrodestra su diversi temi, a partire da quello dellimmigrazione. Anche perché, sottolinea, «il centrodestra perennemente con la bava alla bocca non è quello più gradito, soprattutto in una città come Roma». E poi, ribadisce, «non ha senso il pensiero unico: è una limitazione della società».
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