Fini: "Voto deciso. Ecco perché il Pdl vincerà"

"Batteremo il Pd grazie al voto del Sud. Lì il governo Prodi ha fatto solo disastri". Poi detta le priorità di governo: "La sicurezza dei cittadini e l'impoverimento delle famigle"

Fini: "Voto deciso. Ecco perché il Pdl vincerà"

«L’intervista comincia dopo il caffè. Non abbiamo fretta, vero?». Tazzina, sigaretta. Gianfranco Fini è rilassato e sorridente come raramente capita di vedere. Suona il telefonino. È Tremonti. Commentano un’intervista a Maroni e le polemiche di giornata sul voto agli immigrati. «Mi sembra bene», chiude. Per non far capire che sto origliando mi alzo e osservo le foto dello studio. La bimba di quattro mesi (come sta? «Benissimo», non una parola in più), l’immersione con la tuta da sub («La mia vera passione»), la visita in Israele, quella a Nassirya e Giovanni Paolo II. «Lui è stato l’unico a lasciarmi a bocca aperta, dopo mio padre», dice. E ricorda l’anno del Giubileo. «C’erano state tre celebrazioni consecutive a Roma. Io ero andato a tutte e tre. Alla fine dell’ultima mi avvicino al Papa, lui mi sorride e mi dice: “Lei fa troppi giubilei”». Fini sorride e si lascia andare. «Possiamo cominciare?», gli chiedo. Lui afferra un’altra sigaretta. Per le due ore dell’intervista ne avrà sempre una in mano.

Che clima ha trovato in campagna elettorale?
«Un clima favorevole, fotografato dai sondaggi. La gente ha capito che bisogna rimuovere Prodi».

Eppure a volte sembra già rimosso...
«Sì. Credo che Veltroni viva con l’incubo che il premier si materializzi sul palco al suo comizio finale».

Intanto il premier ha annunciato che rinuncerà alla conferenza stampa di fine mandato.
«Dice che lo fa per non dare vantaggio al centrosinistra. È l’ultima barzelletta».

Che cosa deciderà le elezioni?
«Le elezioni sono già decise».

Addirittura?
«Sì. È come quelle partite di calcio in cui una squadra (la nostra) sta chiaramente vincendo: bisogna solo aspettare il fischio finale, cercando di non fare errori clamorosi...».

E chi ha segnato il gol decisivo?
«Il Sud».

Il Sud?
«Ma sì: noi torneremo al governo soprattutto per il voto al Sud. Il Nord era con Berlusconi anche nel 2006, ma allora avevamo avuto un calo di consensi nelle regioni meridionali».

Poi c’è stato il disastro rifiuti...
«Non solo quello. Il Sud è stato completamente cancellato per 22 mesi dall’agenda di Prodi. E così le regioni meridionali ora vogliono un cambiamento».

Il cambiamento è il Ponte sullo Stretto?
«Nessuno dà valore salvifico a quell’opera. Ma il ponte rappresenta l’idea di un Sud positivo, che si sviluppa, che cresce».

Qual è stata la novità più interessante di questa campagna elettorale?
«Il Pdl».

Troppo facile. Eppure a dicembre fra lei e Berlusconi c’era stato qualche screzio sull’argomento.
«Qualche screzio? C’era stata una durissima polemica. Non potevo accettare che si dicesse parlando da un predellino: qui c’è un partito, chi vuole vi aderisca...».

Cos’è cambiato?
«È cambiato che Berlusconi, che è persona intelligente, ci ha chiamato e ci ha detto: c’è da costruire insieme un partito. Così è tutto diverso, non le pare?».

Ma è abbastanza diverso da superare anche gli scontri personali?
«Lo scontro politico porta anche gelo personale. Ma sono abituato a tenere distinti i due piani».

Com’è avvenuta la riappacificazione?
«Ci siamo sentiti al telefono. Era un giorno per me molto triste, quello in cui poi morì mia madre...».

Anche la mamma di Berlusconi era morta pochi giorni prima.
«Sì. In quel frangente ci trovammo a parlare anche di politica. Ci siamo visti il giorno dopo. È stato molto più semplice di quello che si possa immaginare. In fondo per la destra è sempre stato naturale anteporre l’interesse generale a quello di parte».

Questo significa che, secondo lei, il progetto Pdl andrà avanti anche se doveste perdere le elezioni?
«Le elezioni non le perderemo, ma la risposta è sì. Un passo indietro adesso sarebbe in ogni caso incomprensibile. Vede: in questi anni la politica deve dare la risposta a inquietudini, malesseri, timori per il futuro. Ci vogliono strumenti nuovi. Non a caso noi siamo il Popolo della libertà, non il partito. Il partito è uno strumento del secolo scorso, inadeguato alle nuove sfide».

Ma la sua gente ha capito?
«Sì. Bisogna spiegarlo, ma il nostro è un progetto lineare, che stava già dentro ai lavori preparatori di Fiuggi. Pensi: allora Forza Italia non era ancora nata».

Ci saranno resistenze...
«Ma sì, le resistenze ci sono, spesso anche per legittime posizioni di potere. Se a Vibo Valentia o ad Asti ci sono i rappresentanti di due partiti diversi, bisogna sceglierne uno solo, e dunque qualcuno teme di perdere l’incarico...».

Perdere l’incarico, sì: ma qualcuno teme di perdere anche l’identità. Lei non ha paura di passare per quello che ha spento per sempre la fiamma?
«No, perché l’identità non può stare nei musei. Quell’idea lì di identità è romantica ma parziale, può evocare ma non guidare. L’identità non si può imbalsamare. Vuole che le dica una cosa che non ho mai detto?».

Non sarebbe male.
«Nel 2008 sono vent’anni dalla morte di Almirante. Se io penso a che cos’era allora il mondo... C’era ancora il muro di Berlino, l’Urss, il Pci, eravamo nel pieno dopoguerra... Da allora è cambiato tutto. Si può pensare di concepire oggi la politica come la concepiva Almirante? Io, che sono stato al suo fianco, so che oggi sarebbe proprio lui il primo a dirci: ragazzi, siete fuori dal tempo...».

La sento molto accalorata sul progetto Pdl. Mi viene da chiederle: sarebbe disposto a rinunciare a incarichi istituzionali per portare avanti la nuova formazione politica?
«Mettiamola così: quella è la missione più importante cui voglio dare continuità nel prossimo futuro».

Abbastanza chiaro. Ma se invece entrasse nel governo quali sono i cinque provvedimenti che le piacerebbe discutere alla prima riunione?
«Non credo ai due, cinque o dieci progetti. Credo che occorra dare subito risposte concrete ai due problemi principali degli italiani: la sicurezza intesa come ordine pubblico e la sicurezza sociale, intesa come problema economico delle famiglie».

E i rifiuti?
«Credo che ne usciremo: grazie al lavoro del prefetto De Gennaro già s’intravede la fine del tunnel. Inoltre daremo disposizione di lavorare 24h per completare in tempi rapidissimi il termovalorizzatore di Acerra. Poi ho un’altra idea, ma non ne ho ancora parlato con Berlusconi...».

Di che si tratta?
«Penso che dovremmo avere nel governo una figura ad hoc che si occupa dell’emergenza fino a quando non sarà risolta».

Un viceministro alla munnezza?
«Una figura di governo. Temporanea».

Ma ce la farete a stare nei limiti previsti dalla legge: 12 ministri e 60 incarichi in tutto?
«Sarà dura, ma dobbiamo farcela, assolutamente».

Lei ha in mente qualche nome?
«Sì, ma non glielo dico».

Tecnici esterni?
«Non credo ce ne sia bisogno».

Che altro fare per ridurre il sentimento crescente di antipolitica?
«Bisogna individuare alcuni luoghi simbolo e intervenire duramente».

Per esempio il numero dei parlamentari?
«Fin troppo facile: quello noi lo avevamo addirittura già fatto con la riforma della Costituzione, poi la sinistra volle buttare il bambino con l’acqua sporca».

Abolire le province?
«Tranne che nelle aree metropolitane, sono d’accordo».

E poi?
«E poi tutto e subito non si può, tutto e subito lo dice Grillo. Però si potrebbero cambiare alcune leggi che consentono degenerazioni clientelari».

Per esempio?
«Per esempio la politica deve discutere di come organizzare il Servizio sanitario nazionale, ma deve restare fuori dalle nomine dei primari degli ospedali».

Sembra facile.
«Basta volerlo».

Lei prima, durante la pausa caffè, si definiva un «politico di lungo corso»...
«Sì, lo rivendico. E da politico di lungo corso dico: è mai possibile che in Campania siano state create due commissioni, una per studiare il mare e l’altra per studiare il Mediterraneo. E che mare c’è a Napoli? Il Pacifico? E poi le pare possibile che in mezzo al disastro dell’immondizia si spendano soldi per studiare come la gente percepisce il problema dell’immondizia?».

Siamo tornati ai rifiuti.
«Voglio dire un’altra cosa al riguardo. Di fronte a una situazione come quella, gli amministratori dovrebbero sentire il bisogno di dimettersi. Ma se non si dimettono, almeno, dovrebbero sentire l’obbligo morale di non far pagare la tassa sui rifiuti. Non le pare? Far pagare le tasse sui rifiuti a Napoli è un atteggiamento stupido e offensivo, che fa crescere il sentimento dell’antipolitica».

Se ci fosse stato il centrodestra...
«Io li avrei obbligati a sospendere il pagamento di quella tassa».

Manca la controprova.
«Guardi: la controprova è l’atteggiamento della sinistra. Loro sono presuntuosi, non ammettono mai di aver sbagliato. Lei l’ha mai sentito uno di sinistra che dice di aver sbagliato?».

Anche il centrodestra, però, nel passato governo qualche errorino l’ha commesso.
«In effetti».

Quale non ripeterebbe?
«Il principale errore è stato non dare seguito al Patto per l’Italia, che avevamo fatto sottoscrivere alle parti sociali».

E le dimissioni di Tremonti?
«Ci furono polemiche eccessive e mi prendo le mie parti di responsabilità, anche se non al 100 per cento».

Ora però andate d'amore e d'accordo.
«L’ha sentito, no? Prima al telefono era lui. Ho grande stima nei suoi confronti anche se, come me, ha un carattere difficile».

Ha letto il suo ultimo libro?
«Sì. E sono stato contento di trovarci alcuni riferimenti culturali della mia giovinezza».

Ma se fosse ministro degli Esteri lei come si comporterebbe con la Cina?
«Sono contrario al boicottaggio delle Olimpiadi, ma l’Occidente non può usare solo la carota. Anche un po’ il bastone».

E in cosa consiste il bastone?
«Subordinare i rapporti economici al rispetto dei diritti umani».

Come finirà la telenovela Alitalia?
«Se il piano non cambia, io ritengo che ci si debba opporre perché il piano garantisce poco o nulla di quello che dovrebbe garantire».

E la cordata italiana?
«Non lo so. Ma trovo sensato che di fronte a una svendita di questo genere ci si chieda: è possibile che nessun altro intervenga? Possibile che Air France sia l’unico interlocutore?».

Perché nessuno si è fatto avanti finora?
«Perché Palazzo Chigi ha impostato fin dal primo momento la trattativa scegliendo Air France come interlocutore privilegiato. E gli altri, compresi altre compagnie aeree internazionali, si sono allontanate».

E come mai questa predilezione per i francesi?
«Io non lo so. Prendo atto».

La polemica di giornata sugli immigrati. Siete di nuovo a litigare con la Lega?
«No, il problema non esiste. La Lega ha ragione a dire che il voto agli immigrati per le amministrative non è nel programma. Ma gli amici leghisti converranno con me che se ne può parlare. Chi è in regola, lavora, paga le tasse perché non deve scegliere chi amministra la città in cui vive? I cittadini romeni o lituani (cioè dell’Ue) lo fanno già. Io credo che questo possa favorire un’integrazione più profonda e il pieno rispetto delle regole».

La sinistra attacca sulle divisioni.
«Da che pulpito viene la predica. Fra Di Pietro, radicali, cattolici, loro stanno litigando su tutto».

Però nelle ultime ore sono volate parole un po' pesanti dei lumbard nei suoi confronti...
«Appena usciti dalla campagna elettorale e deposta la scimitarra ideologica della propaganda vedrete che ci troveremo d’accordo».

Come fa a dirlo?
«Lo dicono i fatti. Nel 2001 Fini e Bossi non fecero a cazzotti ma firmarono insieme una legge molto importante, proprio contro l’immigrazione clandestina. E ci trovammo pure d’accordo su come riscrivere la Costituzione».

Con Casini invece l’accordo era proprio impossibile?
«Mi dispiace che Casini abbia fatto prevalere un pregiudizio personale su un progetto politico».

Pregiudizio personale?
«Sì, l’incompatibilità con Berlusconi gli ha impedito di seguirci proprio nel momento in cui c’è la convergenza tra i valori del centrodestra italiano e quelli del Ppe europeo».

E dove va?
«Lo vedremo quando si apriranno le urne. Di sicuro, da quello che ho percepito, lui sta raccogliendo i voti dei margheritini e degli ex Ppi che non vogliono votare Berlusconi, ma che sono insoddisfatti del Pd, soprattutto dopo l’alleanza con i radicali. Epperò sta perdendo una buona fetta di elettorato che resta fedele al centrodestra, con interi gruppi di dirigenti locali che passano con noi».

Quale sarà il saldo?
«Non lo so. Però so qual è il volto simbolo di questa operazione».

E cioè?
«Ciriaco De Mita».

Casini le rinfaccia la sua famosa frase nei confronti di Berlusconi: «Siamo alle comiche finali»...
«Eravamo alle comiche finali perché ci chiedevano di entrare in una formazione politica creata da altri. Ma Casini ha sicuramente l’intelligenza e l’onesta intellettuale per ammettere che è ben diverso entrare in una formazione politica creata da altri ed essere chiamati a costruirla insieme, come è successo».

Anche Casini fu chiamato?
«Esatto. E rispose di no. Per motivi personali. Che errore».

Che cos’è il Veltrusconi?
«Un’invenzione giornalistica favorita dall’assonanza dei cognomi».

Niente di più?
«No. Chi vince governa. Punto. Una cosa diversa potrà succedere, però».

Quale?
«Dopo tutta una campagna elettorale basata sul buonismo, rivendicando l’assenza di pregiudizi e la non demonizzazione dell’avversario, voglio vedere come farà il centrosinistra, se nel primo Consiglio dei ministri decideremo la riduzione delle aliquote Irap, a non sostenere quel provvedimento».

E perché?
«Perché ce l’hanno uguale nel loro programma».

In effetti. Ma, a questo proposito, i due programmi così simili non la imbarazzano un po’?
«No, guardi. Potrei risponderle facilmente dicendo che Veltroni copia, ma quella è la scoperta dell'acqua calda. Secondo me il punto è un altro».

E cioè?
«Che la sinistra non potrà mai realizzare quello che dice perché non ha la cultura per farlo. Prendiamo per esempio la legalità: è inutile riempirsi la bocca di parole d’ordine simili al centrodestra se alla base c’è la forma mentis giustificazionista per cui la colpa, in fondo, è sempre della società».

A proposito di responsabilità individuali: perché non proviamo a dare una botta di meritocrazia a questo Paese?
«Ho letto le pagine del Giornale e me le sono ritagliate. Sono perfettamente d’accordo. Basta col totem dell’uguaglianza. L’uguaglianza dev’essere intesa, non come l’intende la sinistra, cioè come uguaglianza dei punti d’arrivo, ma come uguaglianza dei punti di partenza. Poi ognuno deve far valere i suoi meriti. Ci dev’essere una gerarchia...».

Gerarchia? Parola desueta...
«Sì, ormai in Italia ci sono solo caricature di gerarchia. Invece dobbiamo reintrodurre una gerarchia vera per cui chi sta sopra è più bravo di chi sta sotto. Questo principio deve valere anche nel campo dei salari».

Vale a dire?
«Perché due operai, uno che lavora bene e l’altro che pensa solo a quando timbrare il cartellino, devono guadagnare la stessa cifra a fine mese?».

Proposta rivoluzionaria. A proposito di rivoluzioni: abolirete la par condicio?
«Quella è una legge ottusa. L’altra sera mi sono trovato davanti alla Tv a scoprire che c’erano dei candidati premier che manco sapevo esistessero, gente che si è candidata in questa specie di Carnevale di Viareggio solo per vedere l’effetto che fa. Eppure per la par condicio tutti hanno diritto allo stesso trattamento davanti alle telecamere, quindi il faccia a faccia Berlusconi-Veltroni non si può fare, salvo fare anche tutti i faccia a faccia con gli altri 15 candidati».

Qualcuno suggerisce il sorteggio.
«Sì, e poi se viene fuori il confronto fra Veltroni e il candidato del Movimento per la libera crescita dei pomodori (ci sarà anche quello nel Carnevale), che facciamo? Dai, è una farsa».

Lei ha aperto l’intervista dicendo che è sicuro della vittoria. Ma non c’è il rischio di un’instabilità al Senato, perdendo in alcune Regioni chiave?
«Sì, c’è. Ed è per questo che gli ultimi cinque giorni della campagna elettorale, dal 6 all’11, li dedicherò tutti al Lazio. Ma prima vado a Genova, poi in Friuli, in Abruzzo...».

Ma lei non era un pigro?
«So prendermi i miei spazi, quando è necessario. Ma la campagna elettorale è una specie di vitamina per i politici. Poi quest’anno la chiuderò con una novità».

Internet?
«Esatto. Il 10 faremo il grande comizio conclusivo a Roma. L’11 farò una lunga chat, tre ore sul web. Io non sono molto pratico, ho imparato a usare il computer giusto per guardare le agenzie. Ma ho una figlia di 22 anni e vedo l’importanza che ha questo strumento per le giovani generazioni, che non usano più enciclopedie...».

... non leggono i giornali...
«Esatto».

Le sembra bello?
«Bello o brutto non so. Ma è il mondo che sta cambiando. Rapidamente. E per interpretarlo bisogna saper guardare avanti».

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