IL FISCO ASPIRATUTTO

Toh, chi si rivede, Vincenzo Visco. Ci avete fatto caso? Appena sente nell'aria l'odore di contribuenti da spremere, lui si fa vivo. E comincia a discettare di aliquote da alzare e di tasse da inventare con quel gusto che hanno i venditori del Folletto quando fanno le dimostrazioni in piazza. «Vedete? Basta accendere, un giro veloce e aspira via tutto». L'unica differenza è che l'aspiratutto Visco le dimostrazioni non le fa in piazza. Appena può, le fa nelle nostre tasche.
Tasse sui Bot? Tasse sui Cct? Aumento degli estimi catastali e, di conseguenza, dell'imposta sulla casa? Tassa di successione? Avanti, c'è posto: l'Unione delle stangate, se vince, non vi farà mancare nulla. O meglio: vi farà mancare un po' tutto. E lui, il ministro delle Finanze più ingordo che la storia della Repubblica ricordi, sta già scaldando i motori.
L'altro giorno ha dichiarato: «Vogliamo finire il lavoro cominciato tra il 1996 e il 2001». A milioni di italiani si è gelato il sangue nelle vene. «Finire il lavoro»? Che significa? Un'altra eurotassa? L'Irap al cubo? Il redditometro? Ma voi vi ricordate che cos'è stato il fisco tra il 1996 e il 2001? Si arrivò persino al mutandometro, perché si sa il fisco vola alto ma non perde di vista le parti basse. Se fossimo in crisi ipoglicemica di originalità, potremmo intitolarlo: il ritorno di Dracula. Il titolo non è un granché, la trama peggio ancora. Film horror, naturalmente.
Visco che si agita dietro a Prodi, rilascia interviste e studia il fisco è preoccupante perché come disse Tremonti con una battuta diventata celebre «mettere lui alle Finanze è come mettere Dracula all'Avis». I leader del centrosinistra ripetono in ogni occasione che i risparmiatori possono star tranquilli, che i contratti in essere non verranno modificati, che colpiranno solo i paperoni. Ma è tutto inutile: dietro i loro discorsi rassicuranti s'allunga tremenda l'ombra di Visco. Come si fa a rimanere tranquilli?
Nel vecchio Pci le chiamavano le «viscate». Ogni tanto se ne usciva con una trovata geniale e il palazzo tremava. Piero Fassino un giorno sbottò: «Quello bisogna mandarlo in Zaire». Poi si corresse: «No, Zaire no. Laggiù hanno già tanti problemi». Al ministero circolava una barzelletta: Visco incontra un suo amico al bar. «Prendiamo qualcosa?», chiede l'amico. E lui risponde: «Sì, ma a chi?». Un giorno, quando comandava le Finanze italiane, disse: «Ho la scrivania piena di fax di contribuenti, non aspettano altro che pagare le imposte». E questa, lo giuro, non è una barzelletta: lo ha detto davvero.
In fondo poi, in quella frase, c'è in sintesi tutta la differenza che corre, anche in questa campagna elettorale, fra due visioni del mondo. Da una parte c'è il centrodestra che pensa che le imposte siano un sacrificio necessario ma da ridurre al minimo; dall'altro c'è il centrosinistra che pensa che le imposte siano una specie di sadica festa della vendemmia con i contribuenti nella parte dei grappoli da spremere. È vero che il centrodestra non ha ridotto abbastanza le tasse in questi anni: ma comunque le ha ridotte, nonostante la crisi internazionale, l'11 settembre, la concorrenza della Cina. Il centrosinistra, invece, parte con l'intenzione di aumentarle. E crea una situazione di allarme contabile nazionale proprio per spennarci come polli e arrostirci allo spiedo.

Se non ci credete osservate come si muove in questi giorni Dracula Visco, risentite la sua minaccia: «Vogliamo finire il lavoro...». E rassegnatevi: se vincono, smetteranno di metterci le mani in tasca solo quando saremo ridotti in mutande. Ma solo perché le mutande non hanno tasche.

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