Il governo Monti nasce con lo specifico mandato di aumentare la credibilità dell’economia italiana sui mercati, promuovere l’azione dell’Italia in Europa per una politica economica a carattere comunitario, ridurre il debito pubblico con misure di carattere strutturale e lanciare una strategia di sviluppo e crescita per il Paese.
A oggi il conseguimento di questi risultati appare lontano e l’operato del governo si è limitato alla correzione dei conti pubblici resa necessaria, ai fini del pareggio di bilancio, dal peggioramento della congiuntura economica.
Nella particolare fase dell’economia in cui viviamo, risolvere il problema «deficit» può non essere sufficiente. Esiste, infatti, un problema «debito» che non può essere risolto solo accettando maggiori tassi di interesse. Anche se l’onere per il servizio del debito è ancora sostenibile, l’alto livello dello spread rispetto ai bond tedeschi riduce il valore patrimoniale dei nostri titoli pubblici. Tale situazione genera una riduzione degli attivi delle banche e, quindi, dei loro valori patrimoniali, con ripercussioni significative sull’intera economia.
Una vera politica di abbattimento strutturale del debito pubblico non è più rinviabile. Occorre cominciare a diminuire, nell’arco di 24-36 mesi, l’esposizione debitoria del Paese dal 120% al 90% del Pil, rientrando così nelle medie dei principali competitori e togliendo ai mercati l’unico vero alibi sul quale esercitano la loro attività fortemente speculativa ai nostri danni, per cui applicano differenziali di interesse che non troverebbero riscontro in una obiettiva lettura dei nostri dati di sistema.
Un intervento di questo respiro non può che essere la risultante di più operazioni, ciascuna delle quali sia destinata a originare maggiore liquidità da investire - in via esclusiva - nel riacquisto del nostro debito, nonché partire da una seria alienazione dei beni dello Stato e di privatizzazioni mobiliari e immobiliari di beni in capo alla Pubblica amministrazione in tutte le sue emanazioni, magari da attuarsi tramite la costituzione di un Fondo ad hoc che consenta la partecipazione dei cittadini e quindi l’immediata spendibilità delle risorse, la cui raccolta necessita di un tempo utile ad impedire svendite o speculazioni.
Si tratta di cedere le partecipazioni che non hanno carattere strategico e vendere gli immobili posseduti dalla Pa sia a livello centrale sia periferico. Come è stato già ampiamente detto la costituzione di un Fondo chiuso d’investimento accelera al massimo le singole dismissioni, che devono essere accompagnate da una normativa rivolta a ottenere un rapido cambiamento della destinazione d’uso dei singoli immobili, con conseguente variazione del piano regolatore. Anche il lease-back (vendita dell’immobile e successivo affitto in locazione) garantisce entrate al bilancio dello Stato, riducendo l’emissione di titoli del debito pubblico e al tempo stesso migliorando la gestione delle aste, con riduzione dell’offerta e risparmi negli spread.
Ancora, può darsi luogo alla costituzione di una società nella quale far confluire i contratti di concessione d’uso dei beni dello Stato (dalle spiagge alle autostrade, dalle ferrovie alle reti elettriche e informatiche eccetera), da privatizzare successivamente, mantenendo in capo allo Stato la proprietà dei beni ma, di fatto, anticipando gli introiti attesi tramite la riscossione immediata del valore della società di gestione.Un vero e proprio Fondo salva Italia da affiancare al Fondo salva Stati europeo: chi fa da sé... con quel che ne consegue.
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