Il fondatore del club Forza Italia Londra: «Ecco perché i tabloid attaccano Silvio»

Il fondatore del club Forza Italia Londra: «Ecco perché i tabloid attaccano Silvio»

di Francesca Boschieri

LondraL'avvocato Nello Pasquini mi viene a trovare in una giornata di tipica pioggia londinese, quella che cade così fitta che sembra non bagnare neppure e che qui chiamano spray. Ha modi cortesi e battuta pronta come un perfetto gentleman inglese, a riprova che forse la distanza tra la cultura genovese e quella d'oltremanica non è poi così marcata. Anzi.
Alla sua Genova, alla sua Italia, resta legatissimo. Al punto da ritagliarsi un corner, un angolino di politica italiana all’ombra del Big Ben. Fondando il club Forza Italia Londra.
Perché ha deciso di trasferirsi a Londra?
«Ritenevo e ancora ritengo che in questa città si percepisca un sense of freedom, l'idea di libertà individuale che gradisco. È una società dove l'anonimato è fortemente rispettato, dove si respira un'atmosfera culturale unica in Europa e dove esiste una vera dimensione di eccentricità.»
Per vivere bene in Italia è necessario conformarsi.
«L’Inghilterra invece non ti obbliga a uniformarti ai valori prevalenti.»
Recentemente la stampa inglese ha attivato una campagna denigratoria verso il premier Silvio Berlusconi dai toni particolarmente pesanti, recependo il peggio di una certa stampa che ha amato indagare nella vita privata del suo primo cittadino. Non le sembra in contraddizione con quello che mi ha appena detto?
«No. Non lo è. La libertà, l'anonimato è per quelli come me, che non hanno nessun ruolo politico, o non sono celebrities. Per queste due categorie invece la questione è molto diversa. I giornali inglesi hanno sempre amato conoscere la vita privata dei personaggi di un certo peso, per poterli controllare».
Mi sta dicendo in forma ricattatoria?
«In un certo senso sì. Qui sono i giornali che cercano di controllare i politici. Il fatto che da noi ci siano dei politici che possiedano dei giornali gli fa saltare il sistema. Gli toglie potere. E ne hanno una paura folle».
Ma non le sembra tutta una contraddizione? Voglio dire il paese dove, come lei stesso mi dice, si respira aria libera, il paese inventore del concetto stesso di privacy, in realtà ama farsi gli affari altrui, tra l'altro per motivi di potere?
«Sì, sembra una contraddizione. Ma non lo è. In Italia amiamo magari sapere tutto di cosa fa il nostro vicino di casa, e poi ci interessa pochissimo della vita privata dei nostri politici. Qui è l'opposto. La privacy è rispettata se non sei nessuno. Se sei qualcuno non viene rispettata per nulla. Nel 2000 nel regno Unito è entrata in vigore "la convenzione europea per i diritti umani" che di fatto ha protetto personaggi famosi, quali Naomi Campbell e il controverso Max Mosley. Convenzione arrivata dall'Europa. Un'Europa che ritiene che anche la figura pubblica abbia diritto a una vita privata. Quando questa convenzione è stata discussa in parlamento, ci sono stati molti dissensi. È un fatto culturale, nato forse con il puritanesimo vittoriano. E poi a molti inglesi non piace essere silenziosamente "invasi" da leggi non loro».
In che senso?
«Ricordiamoci che fino a ieri l'Inghilterra è stata a capo di un'impero e ha portato avanti una grande politica imperialista. L'idea adesso di recepire leggi dall'Europa non è così popolare come sembra».
Nella sua vita ha partecipato a forme di attività politica?
«Sì. Nel 1976 ho aiutato la campagna elettorale del Partito Radicale. Ho sempre apprezzato le battaglie per i diritti civili, in quegli anni portate avanti da Pannella. Vivendo poi in Inghilterra ho potuto constatare gli eccezionali cambiamenti positivi che Margaret Thatcher ha operato nell'economia e nella politica britannica, allora in piena crisi. Mi è sempre stato chiaro che l'unico politico che in Italia potesse portare avanti una simile rivoluzione, basata su privatizzazioni e riduzione del carico delle imposte, fosse Silvio Berlusconi».
Dunque per questo ha fondato il primo club di Forza Italia di Londra?
«Era il 1993, si percepiva il cambiamento. Un anno dopo Berlusconi sarebbe stato eletto. Con un gruppo di amici che lavoravano nella City abbiamo fondato un club che promuovesse informazione sui temi politici di rilevanza europea tra la comunità italiana e il Regno Unito. Abbiamo invitato figure di primo piano, come lo stesso Berlusconi, Tremonti e Frattini. Era un think tank. Un contenitore di idee».
Perché, secondo lei, questo accanimento contro Berlusconi della stampa anglo-americana che da febbraio, in maniera martellante continua a denigrare il premier italiano?
«Le ragioni possono essere mille. Sicuramente anche dettate dal fatto che Berlusconi ha acquisito un'immensa popolarità, ed è uno dei principali protagonisti a livello europeo, e può dunque incidere in futuro anche nella politica inglese. È triste dirlo, ma poi, alla fine è tutta questione di che lobbies si va a toccare, di che interessi si muovono».
Di fatto però è un attacco che coinvolge tutti gli italiani e quelli all'estero in prima linea, con strizzatine di occhi come tutti fossero veline o clown. Non le dà fastidio?
«Certamente. È un danno per l'intero paese, anche economico. Le economie fioriscono dove ci sono situazioni di grande trasparenza. Dipingere uno dei nostri più importanti imprenditori italiani, Silvio Berlusconi, come un clown, non aiuta certo il mercato italiano. Mi dispiace anche per il basso livello del dibattito politico. Ma del resto Berlusconi viene utilizzato per rappresentare un loro stereotipo ben consolidato: quello del latin lover un po' faccendiere, una sorta di caricatura dell'uomo italico che finalmente trova il suo simbolo in un nuovo Rodolfo Valentino della politica».
Contro questi attacchi stampa, come secondo lei, legalmente, ci si può difendere? Chi difende gli italiani all'estero?
«È molto difficile difendersi dalle calunnie, anche nella vita privata. Ricorda la Patente di Pirandello? Berlusconi potrebbe iniziare una causa contro alcuni giornali, ma dovrebbe poi esporsi a una vera gogna pubblica, e non glielo consiglierei. L'unica difesa è sul piano mediatico, una contro-informazione. Ma alla fine è continuare ad alimentare il gossip. E mi dirà, chi la porta avanti tra i giornali italiani? Dunque non farei neppure questo. Bisogna, ritengo, semplicemente tornare all'esercizio del pensare. E aspettare lungo il Tamigi, come nel famoso detto cinese».
L’avvocato Pasquini parla da professionista che vive la politica anche per lavoro. Perché la sua attività è legata anche ai rapporti internazionali, all’economia.
Dal 1975 è per la prima volta nella città del Big Ben, poi stabile nella capitale dal 1987. Avvocato civilista e solicitor, organizza dal 2006 quale consulente del Consiglio Nazionale Forense corsi di legal english per avvocati italiani ed è insegnante allo University College London e all'Institute of European and Comparative Law dell'Università di Oxford per i programmi Erasmus Socrates. In pratica prepara gli studenti inglesi a venire in Italia per frequentare un anno di diritto in una università gemellata. Il nostro discorso scivola inevitabilmente sulla sua attività.
Dunque "futuri cervelli" che arrivano in Italia. Una contro-tendenza rispetto alla vulgata dell'emorragia di materia grigia all'estero?
«Sì. L'idea è nata da Basil Marckesinis, grande professore di diritto comparato, con il quale ho lavorato a lungo. Ed è questa: studiare diritto francese, tedesco e inglese nella lingua d'origine. Le tre professioni legali, cioè i giudici, gli avvocati e i professori universitari devono collaborare insieme. La globalizzazione ha creato il bisogno di conoscere le sentenze di altri paesi. I sistemi, ad esempio tra Germania e Inghilterra, sono molto diversi ma sul piano pratico se analizzi le sentenze le soluzioni sono simili. Se dunque c'è un problema giuridico complesso, ci si sta orientando sempre di più a trovare delle convergenze di sistemi, ovvero a risolverlo guardando alle soluzioni prese da altri paesi. Cosa che puoi fare solo formando persone che conoscano le lingue straniere. Questo studio lo deve fare l'accademico, ma il suo lavoro deve poi essere utilizzato dall'avvocato che è colui che offre al giudice gli strumenti finali per decidere».
Da questa prospettiva internazionale cosa consiglierebbe dunque al nostro ministro Gelmini in materia di Università?
«Il mercato legale è un problema complesso. Grandi studi anglo-americani si sono accaparrati una cospicua fetta di mercato prima di pertinenza di studi italiani. Come soluzione a questo problema, quello che suggerirei immediatamente è di attivare corsi di legge in inglese. L'inglese è la lingua dominante, bisogna prenderne coscienza. Gli stati avranno sempre meno risorse in futuro da investire. Del resto sarebbe uno stato criminogeno quello che tassa il cittadino in maniera irragionevole, quando, come ora, in un periodo di crisi, le risorse generali diminuiscono. E se lo stato tassa, gli imprenditori se ne vanno altrove. È dunque necessario l'intervento dei privati.

Qui in Inghilterra il ragionamento di Marckesinis, che ha sempre trovato milioni di sterline per creare corsi per i suoi studenti, è rivolgersi ai grandi studi privati. Voi avete bisogno di avvocati internazionali, noi ve li prepariamo, vi forniamo questo servizio, e siete voi che dovete pagare per la loro preparazione».

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