Le forzature assurde di una serie che vuole solo menare il "poliziotto cattivo"

Un agente guardando la fiction Netflix ci spiega quanto è lontana dalla realtà

Le forzature assurde di una serie  che vuole solo menare il "poliziotto cattivo"

ACAB: All Cops Are Bastard, tutti i poliziotti sono bastardi. Con questo titolo uscì il film di Stefano Sollima nel 2012. A distanza di 13 anni con lo stesso titolo è uscita la serie per Netflix. In tredici anni sono accadute tante cose nel nostro Paese ma una certezza è rimasta: nessuno vuole raccontare con realtà le dinamiche operative delle forze dell'ordine.

Nel film c'era qualche esagerazione che, probabilmente, serviva al regista per edulcorare la narrazione ma nella serie di oggi ci si ubriaca di fantasiose teorie operative, a volte così sbagliate e tendenziose che è difficile non sdegnarsi. La sensazione è che in questa nuovo capitolo di Acab gli ambienti cinematografici, il nuovo regista, le figure addette alla sceneggiatura della serie abbiano ignorato cosa accade realmente durante una manifestazione e di come le forze dell'ordine possano essere posizionate, come vengono dati gli ordinativi e quali regole e dinamiche vigono per gli operatori di polizia quando sono impiegati nella sicurezza dei cittadini durante manifestazioni, grandi eventi, sgomberi o partite di calcio (tutti eventi pubblici che vengono chiamati servizi di ordine pubblico). E non solo si ha l'impressione che non ci sia stato un confronto con esperti del settore ma che si sia evitato anche di fare una ricerca sul web, dove vengono raccontate le procedure e le regole degli operatori delle forze dell'ordine che intervengono in questi servizi. Io mi domando cosa avrà pensato lo spettatore/cittadino quando ha sentito dire al Sovrintendente della Polizia di Stato Ivano Valenti detto Mazinga - interpretato da Marco Giallini - «Roma non si ferma!» dopo la carica ai manifestanti in Val di Susa e poi ha visto gli attori che formavano la squadra del Reparto Mobile di Roma andare soli, contro gli ordinativi dei funzionari preposti, dentro un bosco per poi malmenare gli antagonisti. Chissà poi quali riflessioni avrà fatto lo stesso cittadino/spettatore quando nella seconda puntata, in una strada del centro di Roma e con le immagini dei giornali che a piena pagina allertavano possibili scontri per una partita di calcio, ha osservato che nel punto più caldo del passaggio dei tifosi era stata posizionata una sola camionetta del Reparto Mobile, gli stessi dieci uomini della prima puntata in Val di Susa, contro una tifoseria straniera violenta e ben alcolizzata. E chissà cosa avrà rielaborato lo stesso spettatore, che da cittadino dopo solo 70 minuti di serie televisiva è stato posizionato unicamente nella poltrona la cui visione è quella della polemica e critica dell'operato delle forze dell'ordine, quando ha osservato che di quel nucleo di celerini solo due dei più anziani partono in una carica non ordinata e cominciano così un tafferuglio simile ad una scena nel Colosseo al tempo degli antichi romani.

Le risposte a queste domande ci sono e si possono leggere sulle bacheche dei social network: è un coro straziante di voci che gridano incapacità, mancanza di preparazione e violenza contro quei «celerini figli di puttana» (coro che viene usato come un mantra durante le puntate della serie) e la categoria di donne e uomini che lavorano nelle forze dell'ordine. Ma ci sono anche altre risposte, quelle che poi si ascoltano durante le manifestazioni, quando indossando una divisa, si comprende come si viene percepiti dalla cittadinanza. Purtroppo in tanti credono che ciò che ha visto in tv sia la verità. C'è confusione e tanta tanta fantasia in quello che si vede nella serie tv Acab. E sembra che nessuno di chi ha realizzato quei minuti di intrattenimento abbia riflettuto e si sia reso conto della responsabilità riguardo a ciò che potevano creare quelle immagini. Non è certamente il mio ruolo mettere in discussione la creatività della serie, la recitazione degli attori, la fotografia, la realizzazione nella sua parte artistica. Non voglio neanche sfiorare la questione di caratterizzazione psicologica dei personaggi, libera scelta di chi ha firmato le puntate. Esiste però una responsabilità se alcune verità vengono comunicate in maniera errata. A quelle immagini, poi, c'è una reazione del pubblico e dobbiamo essere ben consapevoli che, in momenti di alta sensibilità nella cittadinanza, creare una errata informazione crea confusione, rabbia e tensioni.

Non occorre la mia esperienza sul campo operativo per capire che la realtà doveva essere raccontata diversamente. Basta leggere sul web. Chi indossa una divisa nella realtà non opera nelle sue funzioni come viene rappresentato nelle puntate. Una squadra di qualsiasi Reparto Mobile è un nucleo unito di operatori competenti e addestrati, che durante l'ordine pubblico, opera attenendosi ad una catena di decisioni gerarchiche al cui apice ci sono dirigenti e funzionari delle Questure del territorio. Gli operatori dei Reparti Mobili seguono ordinativi ben precisi e si attengono a prassi operative chiare che sono svolte per la salvaguardia e la sicurezza dei cittadini e degli stessi operatori. Per chiarire in modo inequivocabile e in controtendenza con le idee che leggo sui social: le forze dell'ordine non vanno alla manifestazione per caricare i manifestanti ma per tutelare i cittadini affinché possano manifestare in piena sicurezza. E, per esempio, non è contemplato che un celerino o una squadra si stacchi, volontariamente e autonomamente, dal piano di ordine pubblico imposto e non segua gli ordinativi dei responsabili semplicemente perché «Roma non si ferma».

Poteva essere facile mostrare la realtà e, dopo oltre dieci anni, poteva essere importante abbattere una retorica che non rappresenta la verità. È stata un'occasione sprecata per mostrare come dentro le divise ci siano professionisti e donne e uomini che sono al servizio degli altri. Sempre. Costantemente.

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Gabriele Ametrano è nato a Roma nel 1978. Appartenente alla Polizia di Stato, è anche giornalista e conduttore radiofonico. Dal 2018 è il direttore del progetto «La città dei lettori» e dei suoi festival toscani, e dal 2023 è direttore artistico di Giunti Odeon - libreria e cinema a Firenze.

È Amico della Domenica del Premio Strega e nel 2023 ha ricevuto il riconoscimento Fiorino d`oro dal sindaco della Città di Firenze. Ha pubblicato tre sillogi di poesie (Tornerà la stagione dei sogni, Il Segnale, 1999; Il rumore dell`anima, Ibiskos, 2006; Nessun porto terrà lontana la tempesta, Edizioni Clichy, 2024).

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