nostro inviato a Trieste
Più che il diritto, poté la Realpolitik. E così, nonostante dichiarazioni verbali ferme nei toni e assicurazioni di non aver ingranato nessuna retromarcia, i ministri degli Esteri del G8 lasciano Trieste siglando un documentino appena allarmato per quanto è accaduto e accade in Iran nel dopo-voto, ma senza metterne in discussione l'esito. Ovvero: un riconoscimento di fatto della nuova presidenza di Mahmoud Ahmadinejad.
«È chiaro che le posizioni non erano le stesse... » cercava di giustificare Bernard Kouchner, ministro degli Esteri francese, poco prima che trapelassero i testi messi a punto proprio sulle vicende di Teheran. Era effettivamente già noto che la Russia di Putin aveva storto a lungo il naso sulla possibilità di una dura condanna del regime teocratico - come avrebbero voluto i governi di Parigi, Londra, Berlino e anche Roma - ma non era stato messo in preventivo che alla fine Mosca avrebbe avuto la meglio nel rendere così soft il documento. E infatti nel testo messo a punto, come poi illustrava Frattini al termine della sessione di lavoro, il G8 si limitava ad avanzare la richiesta che le violenze «cessassero immediatamente», aggiungendo un «forte invito a cercare soluzioni pacifiche per la crisi in corso» e notando che i ministri degli Esteri del G8 erano «costernati e addolorati per le vite perdute».
Non era un po' pochino? La deplorazione non era riduttiva rispetto alla condanna annunciata? Sempre Frattini lo escludeva seccamente: «Il G8 non ha rinunciato per niente a una propria espressione di forte condanna per la perdita di vite umane e per la repressione in atto». E teneva ad aggiungere: «Non si può ancora considerare chiusa a oggi la partita» sui risultati del voto. «Abbiamo usato un linguaggio chiaro per condannare le limitazioni della libertà» gli faceva eco il tedesco Frank-Walter Steinmeier. «Nessun cambio di linea!» giuravano altresì Kouchner e il britannico Milliband.
In realtà i toni erano smorzati, e di parecchio, rispetto alle previsioni. Forse anche perché - al di là del niet russo - è un work in progress quello che si appresta sull'Iran. Intanto c'è da fare i conti con le richiese d'asilo di tanti oppositori che si affacciano nelle ambasciate occidentali a Teheran (Frattini ha confermato il rilascio di 50 visti individuali nei giorni scorsi, lasciando nel vago il resto, ma da fonti consolari sembra che cresca il numero di richieste e di quei 50 visti parecchi sarebbero stati dati a feriti negli scontri); e della questione visti si discuterà nella Ue già quest'oggi a Corfù, nel vertice Ue-Russia e in quello dell'Osce. In secondo luogo i toni non ultimativi si devono forse anche alla necessità di trovare spiragli nella spinosa questione del nucleare dei mullah.
Frattini ha fatto sapere a nome del G8 tutto che resta «necessario» trovare una soluzione diplomatica ma che «il tempo non è illimitato». Da quel che è trapelato, gli 8 grandi si sono dati un nuovo appuntamento a New York a settembre (prima della consueta assemblea Onu) e se per quella data Teheran non sarà tornata disponibile ai controlli dell'Aiea si riservano di intervenire con sanzioni ancora più pesanti nei confronti del governo di Ahamadinejad.
Morbidi o comunque cauti con gli iraniani, i ministri degli Esteri degli 8 grandi - dopo consulto del "quartetto" sul Medio Oriente guidato da Tony Blair giunto appositamente a Trieste per guidarne i lavori - sono apparsi invece molto più ultimativi con gli israeliani, specie sugli insediamenti dei coloni ultrà su territori palestinesi. Dopo aver chiesto infatti «a entrambe le parti di adempiere ai loro impegni nella Road Map», i ministri degli Esteri reclamano l'immediato «congelamento degli insediamenti, compresi quelli cresciuti naturalmente», nonché la fine della «insostenibile situazione di Gaza» e di atti terroristici. Duro il G8 anche con i nord-coreani, cui si chiede l'immediata cessazione di esperimenti nucleari e missilistici.
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