L'investitura è ufficiale, annunciata l'altra sera dal Cavaliere alla sua festa di compleanno a Roma, una mano sulla spalla di Giancarlo Galan e l'altra che alzava il calice per il brindisi: il governatore in carica sarà il candidato del Pdl in Veneto alle elezioni di primavera. Davanti avevano una trentina di deputati, tra cui i veneti Alberto Giorgetti (il coordinatore regionale, ex An), Giustina Destro e Fabio Gava. Il lungo braccio di ferro con la Lega, che aveva messo la Serenissima in testa agli obiettivi di marzo schierando nomi emergenti come il ministro Zaia e il sindaco veronese Tosi, sembra dunque finito. E non nel modo che almeno gli uomini del Carroccio auspicavano, cioè con un accordo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, ma con una scelta unilaterale. La decisione è stata presa poche ore prima dell'annuncio, in un incontro a Palazzo Grazioli tra Berlusconi e Galan. Da quando la Lega aveva alzato la voce pretendendo il suo posto, il governatore aveva cominciato a mandare segnali di insofferenza: dalle dichiarazioni da «piccolo Fini» sulla cittadinanza agli stranieri fino a votare un ordine del giorno della sinistra in Regione per tenere lontane dal Veneto future centrali nucleari. Poi Galan ha minacciato di correre da solo, con una sua lista, se Berlusconi e Bossi avessero trovato la convergenza su Zaia o Tosi. Il Cavaliere avrebbe «calato le braghe» se avesse accettato la candidatura di un leghista.
La strategia del Doge era tesa a capire se il Carroccio puntava seriamente a Palazzo Balbi oppure giocava un bluff spregiudicato. Galan ha i numeri dalla sua parte: alle politiche del 2008 il Pdl in Veneto superava la Lega dell'1 per cento, raddoppiato alle europee. E il sistema elettorale delle regionali premia chi ha anche un solo voto in più degli avversari: chi vince prende tutto.
In più, Galan può allargare il suo vantaggio. Per lui sarebbe facile catturare il consenso di settori di elettorato che mai voterebbero Lega. L’Udc, per esempio, che sta all’opposizione a Roma ma in maggioranza a Venezia: il portavoce nazionale Antonio De Poli, in passato assessore di due giunte galaniane, ieri ha dichiarato alle agenzie di non volere «che il Veneto finisca nelle mani di chi vuole farlo diventare un fortino della Padania».
Ma non c’è soltanto l’Udc. In estate molte voci nel Partito democratico - dall’ex segretario nazionale Piero Fassino all'ex sindaco veneziano Paolo Costa - erano favorevoli a una ricandidatura del governatore. Non è azzardato ipotizzare che, di fronte a un testa a testa tra Galan e un leghista, la parte centrista del Pd veneto (cioè l’ex Margherita: Cacciari, Variati, Frigo), nel segreto dell’urna, potrebbe appoggiare il primo pur di evitare un monocolore padano. Il Pd non ha nessuna speranza di vittoria (è il terzo partito veneto dopo Pdl e Lega Nord); perdere con il 30 o con il 25 per cento non cambierebbe molto le cose.
È questo il succo del dialogo che si è svolto martedì pomeriggio tra Berlusconi e Galan. Il leader del Pdl aveva di fronte un'alternativa: o una spaccatura nel Pdl veneto oppure una frattura con la Lega. Ed ecco la decisione di annunciare una doppia candidatura attorno a un programma comune. È come se le regionali in Veneto venissero trasformate in primarie: tra Pdl e Carroccio esiste comunque una piattaforma comune, scelgano gli elettori chi preferiscono avere alla guida.
In questa complessa partita a poker, la mossa del Pdl scopre le carte della Lega. Il Carroccio è così sicuro di vincere contro Galan? È davvero disposto a finire all’opposizione nella regione più leghista d'Italia? O invece è un bluff per centrare altri obiettivi, magari le candidature in Liguria, Emilia e Piemonte (per Roberto Cota sarebbe una corsa in discesa) più un bel pacchetto di assessorati in Veneto? Le reazioni dei leghisti di ieri non lasciano dubbi: tutti prudenti come vecchi democristiani. Maroni: «Abbiamo chiesto la presidenza di Piemonte, Lombardia e Veneto, non litigheremo per questo». Zaia: «Dobbiamo evitare inutili e dannose contrapposizioni».
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