Galan: "Tremonti? Un socialista Fermiamolo o ci farà perdere voti"

Il ministro dei Beni culturali: "Tremonti è un socialista, ritocca tutti i provvedimenti del Cdm. Silvio riporti il Pdl al ’94". Sul Pdl: "E' finito in mano a Cicchitto e La Russa, politici di professione". L'EDITORIALE L'ora del mal di pancia / A. Sallusti

Galan: "Tremonti? Un socialista 
Fermiamolo o ci farà perdere voti"

Roma - Tornare allo «spirito del ’94», «rinnovare il partito e la sua classe dirigente» ed «arginare lo spettro di Giulio Tremonti che aleggia su qualunque decisione del governo». Dopo Marcello Dell’Utri, Giuliano Urbani e Antonio Martino, un altro dei pionieri di Forza Italia auspica che Silvio Berlusconi «ritorni ancora una volta a giocarsi tutto» e «rivoluzioni dalle fondamenta un Pdl nel quale è ormai molto difficile riconoscersi». Sul punto Giancarlo Galan non ha alcun dubbio. Tanto da mettere sul tavolo persino la sua poltrona di ministro dei Beni culturali. «Quando parlo di rinnovare - dice - lo faccio tanto seriamente che se il presidente mi chiedesse di fare un passo indietro a favore di un giovane non avrei alcun problema a dire di sì».

Ma perché tanta nostalgia per Forza Italia?
«Perché è stata un’esperienza unica, originale, fuori dagli schemi e lucidamente folle. E oggi di quei sogni, di quelle speranze e, perché no, di quelle illusioni è rimasto ben poco. Nel ’94 discutevamo se presentarci solo alle politiche e non alle amministrative facendo di Forza Italia una sorta di comitato elettorale ed oggi siamo arrivati all’estremo opposto: ci siamo ridotti a prendere ordini da politici di professione come Ignazio La Russa e Fabrizio Cicchitto. Detto davvero con tutto il rispetto. Di più. Siamo scesi in politica in nome delle idee liberali e oggi siamo finiti con un governo perennemente commissariato da un socialista come Giulio Tremonti. Che, vorrei ricordarlo, entrò in Parlamento con il Patto Segni e i voti del centrosinistra. E mi pare scontato che un liberale come me non può stare dalla stessa parte di un socialista».

Ministro, non è che sta giocando d’anticipo rispetto ai possibili tagli di via XX Settembre?
«Ci mancherebbe. Il discorso è ben più ampio. Perché, se mi permette, di questo spettro che si aggira sul governo non se ne può più. Io non parlo con Tremonti, io parlo con l’esecutivo nella sua collegialità visto che le decisioni dovrebbero essere collegiali così come responsabilità, meriti e demeriti. Mi spiego...».

Prego...
«Anche grazie a Tremonti l’Italia non ha fatto la fine della Grecia e questo è senza dubbio un suo merito. Il problema, però, è che fra due anni non possiamo certo fare la campagna elettorale su un argomento simile. Traduzione: con Tremonti si perdono le elezioni ed è per questo che chiedo a Berlusconi una scossa. Perché le elezioni non le perde Tremonti da solo ma le perdiamo tutti noi».

Il ministro dell’Economia, però, dice che di soldi non ce ne sono...
«Tremonti è spietato ma la sua politica dei tagli lineari equivale a non scegliere. Abbia il coraggio di esporsi, di decidere. Per esempio, dove è finita la battaglia per l’abolizione delle province? Ma davvero c’è qualcuno che crede a Tremonti quando dice che abolendole non risparmieremo una lira? Il punto è che il centro delle decisioni del governo non può stare a via XX Settembre ma deve tornare a Palazzo Chigi. Non è più accettabile che i provvedimenti approvati da tutto il Consiglio dei ministri vengano poi ritoccati e finiscano in Gazzetta Ufficiale modificati nelle cifre e nei contenuti».

Qual è la ricetta per tornare allo spirito del ’94?
«Questo deve chiederlo a Berlusconi. Tornare indietro è possibile, ma può farlo solo lui con il suo genio e il suo estro. Un primo passo è quello di riprendere i pochi punti programmatici della rivoluzione liberale annunciata nel ’94. E finalmente realizzarli. Serve solo un Berlusconi che abbia voglia di farlo».

Crede anche lei che uno dei problemi principali del Pdl sia la fusione a freddo Forza Italia-An?
«Ma ci mancherebbe... Guardi, io parlo della mia terra: in Veneto delle quote 70-30 non gliene frega niente a nessuno. Il problema è di spirito e di uomini. Il dramma è che nel ’94 abbiamo iniziato questa avventura contro i professionisti della politica ed oggi professionisti della politica siamo noi. È il mio rammarico, perché se era questo il punto d’approdo avremmo fatto meglio a far fare alla Dc. Per questa ragione dico che dobbiamo rinnovarci e fare spazio ai più giovani. E ne sono tanto convinto che se Berlusconi mi chiedesse di lasciare la poltrona di ministro a una nuova leva non esiterei a dire di sì».

Diamo per scontato che non lo farà. Lei è arrivato ai Beni culturali da poco meno di un mese, da dove pensa di cominciare?
«Sono tre i provvedimenti a cui sto pensando. Primo: una miglior difesa dei beni archeologici con inasprimento delle pene per chi li depreda, i cosiddetti tombaroli, e chi li vende o compra al mercato nero.

Secondo: sgravi fiscali sul modello francese per chi offre un contributo economico alla loro tutela, per esempio finanziando restauri. Terzo: l’estensione della responsabilità civile a chi effettua expertise. Se un antiquario sbaglia valutazione e mi spaccia un Guercione per un Guercino è giusto che paghi di tasca sua».

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