Da garantista a giustizialista: anche la Moroni corre dai finiani

RomaÈ lei la trentaquattresima finiana in Transatlantico. Chiara Moroni, 36 anni da compiere, già più giovane deputata nella XIV legislatura (era il 2001), ieri ha di fatto sancito il suo passaggio nelle file di Futuro e libertà, la nuova compagine del presidente della Camera. Lo ha fatto nelle parole, rifiutandosi di partecipare al voto sulla mozione di sfiducia - poi bocciata dall’Aula - al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. Lo ha fatto anche con il cosiddetto linguaggio non verbale, scegliendo di pronunciare la sua dichiarazione di (non) voto dai banchi di Fli, a fianco al nuovo capogruppo Italo Bocchino, quasi a cercarvi protezione fisica. E in serata, dopo il voto dell’aula che ha visto comunque il governo prevalere, l’ufficialità del cambio di casacca: la Moroni lascia il gruppo del Pdl per iscriversi a Fli, suggellando il tutto con un abboccamento con Fini nel suo studio di presidente della Camera, dopo la seduta. La Moroni lascia anche il ruolo di tesoriere alla Camera del Pdl: a firmare le buste paga di agosto dei deputati del partito sarà qualcun altro. Per la giovane deputata è stata una giornata difficile, in cui il percorso politico si è incrociato con la storia personale. O meglio, con quella del papà Sergio, parlamentare socialista che nel 1992 pagò con il suicidio i due avvisi di garanzia ricevuti nell’inchiesta su Tangentopoli. «Ma il garantismo non ha niente a che vedere con quello di cui stiamo discutendo qui oggi - ha detto la Moroni nel suo intervento in Aula -. Non posso tollerare che la battaglia garantista venga confusa con la giustificazione» così come «non posso tollerare altrettanto alcun giustizialismo». Quindi il caso Caliendo sarebbe «di opportunità politica». Il sottosegretario dovrebbe «rispondere all’opinione pubblica prima ancora che ai magistrati», opportunità politica che «dovrebbe suggerire un passo indietro pienamente tutelato dalle garanzie che non ebbe mio padre».
Tra i più delusi dell’uscita della Moroni un ex collega di partito, il deputato pidiellino Lucio Barani, che quando era sindaco del Comune da lui «dipietrizzato» di Aulla, ai confini tra Toscana e Liguria, fece erigere in piazza Gramsci (ironia della storia contemporanea) un piccolo obelisco bianco in memoria delle vittime di Tangentopoli proprio ispirandosi alle figure di Moroni e di Bettino Craxi. «Summus ius summa iniuria» si legge nella stele, che proprio Chiara inaugurò nel 2001. «Quando l’ho sentita parlare - dice Barani - non volevo credere alle mie orecchie. Chiara non può citare il padre perché politicamente non le appartiene, anche se le appartiene come affetto. Ed è proprio perché lei ha pagato con la perdita del papà, vittima della furia giacobina e giustizialista, che spiace che oggi lei decida di rinnegare la sua storia e di manifestare ingratitudine verso Berlusconi che la volle in Parlamento sullo stesso scranno del papà. La fiammella socialista resta sempre garantista».
Ed è stato un altro ex socialista, Fabrizio Cicchitto, a riassumere la posizione del Pdl in qualità di capogruppo: Caliendo «è una persona per bene, non ha fatto nulla di male», e chi si è astenuto alla mozione di sfiducia del sottosegretario - «Fini, Casini, Rutelli» e la stessa Moroni - in sostanza si arrende «al giustizialismo». «Lo scalpo di Caliendo dovrebbe arricchire la collezione di Di Pietro. Non vi daremo la sua testa, perché egli è innocente e va difeso non astenendosi ma battendosi a viso aperto. La vostra astensione è una resa senza condizioni alla deriva giustizialista», denuncia Cicchitto. Che definisce Caliendo una «vittima sacrificale» del «Grande Fratello delle intercettazioni» che «sta aggredendo e criminalizzando tutte le forme del liberalismo e le passa ai media». «Il network della sorveglianza e dello sputtanamento personale - prosegue Cicchitto - alimenta voyeur da quattro soldi, il mostro viene sbattuto in prima pagina e distrutto. Se questa operazione viene ripetuta per 10, 100, 1.000 casi può distruggere un’intera formazione politica.

Siamo qui perché c’è chi, almeno una volta al mese, ha bisogno di immolare un sacrificio umano a quel valore supremo, il giustizialismo, che ha sostituito il dio che è fallito e tanti altri miti, tutti fortunatamente esauritisi nel 1989».

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