CannesNei grossi festival la regola sono film nuovi. Quasi sempre preziosi quelli vecchi, che qui tornano solo se sono entrati nella storia (del cinema), come Il Gattopardo di Luchino Visconti, ora restaurato da Film Foundation, presieduta da Martin Scorsese; 20th Century Fox; Fondazione Jerôme Seydoux-Pathé; Cineteca di Bologna, diretta da Gianluca Farinelli; Centro sperimentale di cinematografia; Colorworks della Sony.
Nel 1963 Il Gattopardo vinceva la Palma doro. Prodotto da Goffredo Lombardo, il film era stato girato sotto auspici politici: cera da celebrare il secolo dellUnità nazionale. Ma Visconti non si ridusse del più ufficiale - e meno guardabile - Viva lItalia! di Roberto Rossellini. Visconti propose laltra faccia del Risorgimento, quella meridionale, dopo quella settentrionale di Senso, tratto dalle pagine di Boito che non vinse il Leone doro del 1954. In ambo i film Visconti raccontava non la patria nascente, ma uno stile morente. Lui, che mandava preventivamente i copioni a Togliatti per lapprovazione, sotto la patina del comunista celava la consapevolezza che i domani, se cantavano - come supponeva Aragon -, cantavano male.
Nel Gattopardo lunica bellezza dellItalia nascente, la gioventù, era incarnata dai personaggi di Tancredi (Alain Delon) e di Angelica (Claudia Cardinale). Il principe di Salina (Burt Lancaster) era la signorilità declinante.
Venuto ieri a presentare il film al Festival, Delon ha ora più anni di quanti Lancaster ne avesse allora. Tenendo per mano la Cardinale, Delon ha dato - in pochi istanti e con meno parole - lidea di che cosera il cinema italiano dallora. Più esteso lintervento di Scorsese: ha citato i principali interpreti e il direttore della fotografia, Giuseppe Rotunno, davanti a una sala piena, di alterna eleganza nel vestire e nel sentire.
Presente anche metà giuria del concorso principale: sfolgorante Kate Beckinsale, sciatto Emmanuel Carrère, prestanti e compunti Alberto Barbera e Benicio Del Toro. Per loro sarà dura oggi riadattarsi al cinema del presente.
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