C'è un uomo anziano che attende di fare lezione ad un gruppo di ragazzi in una scuola norvegese. Soffre, per la tensione nervosa deve mordere un paletto di legno, come faceva Giulio Cesare durante gli attacchi di epilessia. Quando però entra nell'aula magna cambia tutto. Sposta le sedia che avevano preparato per lui e dice: «Vi aspettavate un vecchio eh...». E ben ritto in piedi inizia a raccontare tornando con la memoria a quando era un partigiano e un guastatore che lottava contro i nazisti. Inizia così il film appena arrivato su Netflix: Numero 24. Racconta la storia vera di Gunnar Sønsteby di Rjukan - classe 1918, morto nel 2012 - che a partire dall'invasione tedesca del 9 aprile 1940 si mise a contrastare l'invasione sino a diventare il comandante del gruppo noto come Oslogjengen (la banda di Oslo). Dopo i primi scontri a fuoco nelle zone boschive dove le forze norvegesi impreparate verranno travolte dalla macchina bellica tedesca, adotterà un cambio di strategia. Prima i volantini e lo spionaggio. Poi volerà a Londra per essere addestrato, e assumere il nome di battaglia di «Numero 24». Si trova così coinvolto in una lotta spietata in cui bisogna essere disposti a uccidere e ad essere uccisi per salvare la libertà. Tra le sue imprese: il contrabbando delle matrici per la stampa delle corone norvegesi e l'attacco all'ufficio per il lavoro, che fermò i piani nazisti di invio di giovani norvegesi sul fronte orientale, la distruzione di oltre 40 aerei...
A un certo punto, dovrà eliminare anche i norvegesi filonazisti, persino più feroci dei tedeschi, nel torturare i prigionieri. Qualcosa che lo costringe a scelte radicali che vengono raccontate con tremenda onestà, come faceva davvero Sønsteby: «È capitato di essere forzati ad uccidere senza essere assolutamente certi che la persona coinvolta fosse un informatore». Il film ha uno stile essenziale, da documentario. Il messaggio arriva chiaro: la democrazia, la libertà di opinione non sono scontati, costano anche sangue.
«Eravamo ragazzi come voi, pensavamo di vivere nel dopoguerra, invece vivevamo tra una guerra e un'altra». Una narrazione così onesta che sembra di trovarsi di fronte ad un film di Clint Eastwood ambientato in Norvegia.
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