Il gelo di Galliani sugli ex amici di Torino

Franco Ordine

nostro inviato a Milanello

«Mi dispiace solo per i tifosi». Adriano Galliani scalpita, s’impenna e frena, afferra il microfono e poi si morde la lingua. «L’avvocato mi bacchetta, mi vieta di parlare» spiega e racconta con la voglia matta di aprire il libro e inondare taccuini e microfoni. «L’ira rimane dentro, lascio all’intelligenza delle persone valutare, i tifosi capiscono, sappiano che la società non ha niente da rimproverarsi» racconta, e alla fine se la prende con una didascalia pubblicata da Repubblica, «non possono scrivere indagato e allora dicono 3 matrimoni e 3 figli, spero non sia un reato» scherza e forse si capisce che, passata la rabbia, evapora anche il dispetto per il coinvolgimento forzoso. «Metto in guardia dal tentativo di fare di ogni erba un fascio e come diceva mia nonna “male non fare, paura non avere”» incalza ancora Galliani. Che fa scendere alla fine un grande gelo sull’amicizia con Giraudo e Moggi, i migliori nemici. «Dopo quello che ha letto, li considera ancora amici?» la domanda delle cento pistole. «Non rispondo». Nel gergo di Galliani è molto di più di una presa di distanza. È la fine di un rapporto nato dodici anni prima, e rivisitato alla luce di cento intercettazioni, riassunte dal piano evidente di mettere il bastone tra le ruote del Milan squadra.
Appena Galliani tace, avanza Leandro Cantamessa, avvocato, consigliere del Milan, esperto di Diritto sportivo. Per lui, letti gli atti, il quadro è preciso. «Il Milan è vittima, non c’è bisogno degli avvocati, se si fa una lettura serena degli atti» è il suo prologo prima di arrivare ai nodi contenuti nella documentazione della procura di Napoli. Le conversazioni di Leonardo Meani, per cominciare. «È un collaboratore addetto agli arbitri, non risulta nel censimento della società» la definizione del ruolo che imbastisce già la difesa del club rossonero e del suo tesserato, protagonista di colloqui registrati. «Non sono entrato nel merito, ma lo faremo presto» promette alla fine Cantamessa. La chiusura è di Ancelotti e del suo siparietto con un giornalista inglese («voi avete solo bruciato uno stadio»).

Dedica una smentita a Meani («mai dette quelle cose riferite a Collina»), un pensiero a Buffon («speriamo risolva in fretta il suo caso») e approva la scelta della Federcalcio di cancellare De Santis, l’arbitro. «Giusto così». Amen. E sui due dirigenti di Torino? «Persone capaci...» si lascia sfuggire.

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