Il generale Bertolini: "Più soldati non servono"

Il generale Bertolini: "Più soldati non servono"

«La situazione è seria, inutile negarlo. Nel sud del Paese, soprattutto nella provincia di Helmand, a Kandahar, a Paktika, nei santuari del Waziristan pakistano, nelle vastissime aree dove si coltiva il papavero da oppio, c'è una guerra vera e propria». Il generale Marco Bertolini, capo di Stato Maggiore di Isaf - numero due della forza internazionale schierata in Afghanistan - non si fa illusioni. Vede anche lui che gli «insorti» guadagnano terreno, spadroneggiando in aree sempre più vaste del Paese. Ma vede anche i progressi dell'esercito e della polizia afghani, la loro tenacia, i loro primi successi. E forse anche solo per senso del dovere si dice ottimista.

Siamo in guerra anche noi italiani?
«Diciamo così: noi non siamo in guerra perché non c'è una dichiarazione di guerra. L'Italia, insieme con altri 41 Paesi, è schierata accanto al governo afghano. Il quale deve fronteggiare una forte opposizione armata. Mentre in altri teatri abbiamo condotto operazioni di peacekeeping, mettendoci in mezzo a due contendenti, qui stiamo conducendo un'operazione di peace enforcing».

Una volta si sarebbe detto che chi vuole imporre la sua pace con le armi è virtualmente in guerra. Dunque sarebbe meglio abituarsi all'idea. A proposito: c'è una strategia, un unico comando degli insorti? E soprattutto: chi sono?
«Il campo avversario è composto da varie entità: ci sono i talebani, i signori della guerra come Hekmatyar e Haqqani, ma ci sono anche le bande criminali dei grandi trafficanti di oppio. Non hanno una strategia e neppure una linea unica di comando. Sono divisi per aree. Il loro obiettivo è abbattere il governo, tornare a imporre l'emirato del mullah Omar».

A noi italiani è stata assegnata la difficile regione di Herat. Tra noi e gli spagnoli, circa 3mila uomini. Un'inezia.
«È vero. Il personale non basta. Ma non sarebbe sufficiente neppure se fosse il triplo. È l'esercito afghano che deve vincere la sua guerra. Noi siamo di supporto. Ma questa insurrezione si combatte soprattutto su altri fronti».

In che modo?
«Fornendo sicurezza alla popolazione, aiutando il governo a imporre la sua autorità e favorendo

la ricostruzione e lo sviluppo. Ciò significa: strade percorribili con sicurezza, ospedali raggiungibili, medici addestrati, scuole che funzionino. È su nodi cruciali come questi che si gioca il futuro dell'Afghanistan».

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