Il generale: "Sono un soldato. Ho detto i no che dovevo dire"

Parla Roberto Speciale: "Ho fatto il mio mestiere, è sotto gli occhi di tutti". Pronto ad accettare il posto alla Corte dei conti. Solidarietà dai colleghi: "Ingerenze politiche"

Il generale: "Sono un soldato. Ho detto i no che dovevo dire"

«Io ero, sono e sarò sempre un soldato. Ho fatto il mio mestiere che è sotto gli occhi di tutti. E quindi dopo tanti no, detti e ripetuti... ecco... dopo questi “no” vado alla Corte dei conti come deciso dal Consiglio dei ministri». Roberto Speciale il comandante generale sceglie come sempre il silenzio stampa. Ma non perde la battuta e si confida con qualche stretto collaboratore. Così dopo la pubblicazione su Il Giornale del suo interrogatorio con la denuncia di pressioni patite dall’autorità politica, oggi in fondo è sereno. La serenità di chi si sente dalla parte della ragione. «Il 21 giugno c’è la festa del Corpo e sarà la mia ultima da comandante generale».
Tra i tanti che chiamano, a chi gli chiede, Speciale fa capire che questo risultato è il frutto malato della politica. E che lui di fronte ai giudici milanesi che chiedevano pressanti le ragioni di quegli improvvisi trasferimenti non poteva tacere. Come non poteva accettare quanto accadde nel luglio del 2006, con il foglietto sventolato sotto il naso, i nomi di quattro bravissimi ufficiali da far traslocare in pochi giorni. Senza ragione alcuna. Così, per volere di un «civile».
E ancora quando si accorse che il comando del Corpo traballava, situazioni irrituali, con rapporti diretti e conseguenti scelte del comandante in Seconda e del capo dei reparti d’Istruzione con l’autorità politica. «Nelle mie lettere - aggiunge Speciale a un altro interlocutore - ho detto sempre e solo la verità. Come nel verbale firmato il 17 luglio a Milano. Non potevo accettare certe richieste nemmeno giustificate da fatti precisi, da contestazioni».
Così di fronte al vero ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, incontrato nel pomeriggio, Speciale ha respinto la richiesta di dimissioni. E ha ascoltato le richieste. Ci sarà da mettersi d’accordo sulle date. Anche perché il 21 giugno c’è la festa del Corpo. Non esserci sarebbe vissuto come un ulteriore schiaffo dal numero uno. Così anche l’ipotesi di ricorso al Tar non viene esclusa dal comandante generale. Ne parlerà con i suoi avvocati e deciderà. Anche se per il momento è propenso ad accettare l’incarico.
Tornando alla richiesta di dimissioni: venivano suggerite da più interlocutori. Persino all’interno del Corpo qualche avveduto generale faceva filtrare la richiesta governativa. Una domanda irricevibile: mai Speciale avrebbe potuto presentare le dimissioni per il semplice fatto che «ho ricostruito quanto accaduto», senza fronzoli, «senza aggiungere altro». E se uno dice la verità non può dimettersi. «La mia rettitudine non è mai venuta meno».
Persino adesso con le infornate di avvicendamenti pronti alla firma che devono essere firmati proprio dal numero uno. Persino quando qualche foglio l’accusava di aver passato le carte ai giornali: «Persone che nemmeno sanno quanti potevano avere accesso a quei documenti. Ma alle suggestioni nemmeno voglio rispondere...».
All’interno del Corpo il contraccolpo è violento. Ma viene assorbito. Cocer, Cobar e strutture periferiche votano ogni giorno mozioni di solidarietà al comandante generale. Gran parte delle Fiamme gialle in questi giorni avevano fatto la fila per lasciare un messaggio di solidarietà alla gerarchia. Oggi il colpo è durissimo e la parola che si ripete nei commenti degli ufficiali sentiti è «arroganza». Arroganza patita in quest’ultima scelta, mandando a casa chi aveva messo nero su bianco, prima volta nella storia della Guardia di finanza e ancora di una forza di polizia, le ingerenze patite dal potere politico.
Il malessere è evidente. Prima per l’esposizione che il Corpo aveva patito in questa vicenda. Poi perché la denuncia coraggiosa di Speciale ha inevitabilmente portato alla sua rimozione. Insomma, c’è chi sottolinea come in un anno si è passati da Visco che voleva cambiare «i vertici» della Gdf della Lombardia al governo che ha azzerato addirittura «il vertice» nazionale. Un gioco di parole che non nasconde la sostanza. «Ci chiediamo - afferma un capitano del nucleo di polizia tributaria di Milano - perché il nostro comandante generale è stato destituito? Cosa ha commesso di così grave se non segnalare le ingerenze dei politici? Ci sia spiegato.

Vista così significa solo che la prossima volta che un autorità governativa chiede, pretende, sollecita bisogna sempre, incondizionatamente, rispondere con un “sì”? Meglio lasciare il Corpo, altro che servire lo Stato!».
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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