Il genio del pennello che si spese in banconote (false)

Tutta vera la storia di Il falsario di Caltagirone (Sellerio, pagg. 200, euro 10). A rigor di titolo c’è poco da fidarsi del suo protagonista, «chiddu ri sordi farsi»: eroe sospetto per definizione, ma reo confesso per le informazioni raccolte dalla sua autrice. A memoria di lettura, però, c’è da prendere alla lettera ogni parola riferita in forma di romanzo da Maria Attanasio. Di lei stiamo cercando di imparare a memoria il mirabile, indimenticabile Correva l'anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile (Sellerio 1994). E adesso che, dal passato della sua città, la scrittrice che ci è nata nel 1943 estrae «Notizie e ragguagli sul curioso caso di Paolo Ciulla» - questo il sottotitolo - c’è solo da affidarsi alla sua prosa con consenziente credulità.
Onesto, ancorché pretestuoso era, per ammissione della narratrice, il proposito occasionale di comporre su invito «un requiem letterario in morte della lira». Legittimo poi, e legittimato dalle più antiche tradizioni funerarie, era che la banconota estinta indossasse, per comparire in pompa magna al proprio funerale, una maschera mortuaria. Ma che a dipingerla a regola d’arte fosse un genio incompreso del pennello impegnato a spendere il proprio talento in soldoni e a darne, con la perfetta contraffazione dei biglietti da 500 lire, la più sonante e frusciante controprova, è una trovata che andava al di là di ogni fantasia e fervore d’immaginazione.
Non c’era bisogno d’inventarlo. Maria Attanasio ha trovato tutto quanto negli archivi di Stato di Catania e nella biblioteca «E. Taranto» di Caltagirone. C’erano gli atti dello spettacolare processo al termine del quale Paolo Ciulla, il pittore falsario, fu condannato «per aver frodato con il suo ineguagliabile talento la fede pubblica». C’erano le ottantacinque pagine di motivazioni della straordinaria sentenza del tribunale catanese. C’erano, più che i libri di storia patria, i regolamenti delle società, le relazioni dei direttori scolastici, i verbali dei medici, le circolari degli agronomi. Soprattutto c’erano i giornali locali. Dal 19 marzo 1867 in cui - negli anni Sessanta del passaggio dai Borbone ai Savoia, della rivolta dei fasci, ovvero della «prima e tutta siciliana rivoluzione di classe nell’Italia unita» - a Caltagirone nasceva il falsario. Fino al 23 novembre 1923 in cui - all’indomani della Marcia su Roma - il brigante gentiluomo concludeva la sua artistica (dis)avventura con la giustizia.
Più che un gratuito giochino coi mille trabocchetti della verità e della finzione, l’opera della Attanasio è una costosa e preziosa fatica da cronista. Ma libera di fingere e di falsificare.

O - perché la verità ha sembianze di menzogna, sapeva Paolo Ciulla - libera di immaginare tutti i risvolti e gli echi che, sulle note di un bellissimo requiem, potevano «colmare i silenzi con le voci dell’immemorabile e del possibile».

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