Il giallo del tesoro Inca: guerra diplomatica tra il Perù e il gallerista

Un gallerista di via Brera ha esposto in negozio aluni reperti peruviani risalenti alla civiltà Inca, e acquistati negli Stati Uniti. Ma da Lima chiedono di sequestrare i manufatti: «Sono stati rubati»

Il mistero del tesoro Inca approda a Milano, scatenan­do una guerra legale con tan­to di scambio incrociato di querele tra lo Stato del Perù e una delle più note gallerie d'aste della metropoli lombar­da, la Moshe Tabibnia di via Brera. Un intricato giallo inter­nazion­ale che coinvolge il mi­nistero degli Esteri di Lima, gli Stati Uniti e l'Italia, e che in set­timana vedrà i giudici del tri­bunale di Milano chiamati a pronunciarsi sul caso. Tutto è iniziato alcuni anni fa, quan­do un piccolo gruppo di mer­canti d'arte statunitensi si so­no recati nel Paese andino. E, dopo avere acquistato sul mercato nero o forse anche trafugato alcuni reperti ar­cheologici precolombiani ri­salenti alla civiltà Inca, sono riusciti a farli uscire clandesti­namente dal Perù. Gli esperti della galleria Tabibnia, men­tre si trovavano in viaggio ne­gli Stati Uniti, hanno compra­to i tesori Inca da quelli che sembravano dei normalissi­mi commercianti d'arte. Ma, secondo il governo peruvia­no, non sarebbero stati in gra­do di ottenere la regolare fattu­ra e la documentazione sul prezzo dei reperti. I manufatti, degli abiti dal valore inestimabile indossati dagli imperatori e dai nobili precolombiani, sono stati quindi fatti giungere in via Brera a Milano. Uno di questi capi è stato analizzato diretta­mente dal critico d'arte Vitto­rio Sgarbi, che lo ha giudicato come autentico e unico al mondo. E' stato a quel punto che lo Stato del Perù si è reso conto che il tesoro Inca, miste­riosamente scomparso, era riapparso a Milano. Il ministe­ro degli Esteri di Lima ha quin­di nominato come difensore l'avvocato Stefano Benvenu­to di Lainate e ha chiesto alle autorità italiane di interveni­re. Il tribunale di Milano ha or­dinato ai carabinieri del nu­cleo Tutela Patrimonio Artisti­co di Monza di sequestrare i reperti archeologici e di ricon­segnarli al consolato peruvia­no a Milano. Facendo scatta­re lo scambio di cause incro­ciate tra il Perù e la galleria. Nella prima fase, di fronte al giudice penale del tribunale di Milano, la casa d'aste è sta­ta assolta dall'accusa di ricet­tazione e contrabbando. Tabi­bnia ha quindi a sua volta fat­to causa allo Stato del Perù, per chiedere la restituzione dei reperti archeologici. E in settimana si terrà l'udienza preliminare del nuovo proces­so di fronte al giudice civile del tribunale di Milano. A rappresentare il ministe­ro degli Esteri di Lima ci sarà l'avvocato Stefano Benvenu­to di Lainate, che rivela: 'Do­po­aver visionato l'intero fasci­colo del processo civile, posso dire con certezza che non esi­stono né documenti né fattu­re in grado di attestare la legit­tima provenienza dei reperti. Inoltre, il fatto che la galleria sia stata assolta dal giudice pe­na­le non è una prova sufficien­te per darle ragione in sede ci­vile. Ma soprattutto, bisogna tenere conto del fatto che il Pe­rù ha ratificato il trattato Uni­droit ( cioè la Convenzione su­gli oggetti culturali rubati o esportati illegalmente, Ndr)'. E come rivela sempre Benve­nuto, il patto internazionale 'sancisce l'obbligo per il com­pratore di dimostrare di avere agito con la dovuta diligenza al momento dell'acquisto. Cioè di essere in possesso del­la documentazione che atte­sti la qualità dell'opera d'arte, il prezzo pagato e l'autorizza­zione all'esportazione da par­te del ministero competente'.

Ma a rendere la situazione an­cora più intricata, c'è il fatto che i reperti Inca si trovano at­tualmente nel consolato del Perù a Milano. La legge 804 del 1967 stabilisce infatti che le sedi consolari siano inviola­bili, e quindi nessuno potrà costringere lo Stato del Perù a consegnare il tesoro Inca alla galleria.

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