Gilardino: «Testa giusta Torneremo in corsa»

«Ce lo ha detto Galliani. Kakà non voleva cambiare ruolo; ma così è immarcabile»

Franco Ordine

Caro Alberto Gilardino, detto anche Aladino: con quanti gol ha chiuso il 2005?
«Dovrei fare dei conti».
Le offriamo un aiutino: 20 gol da gennaio a giugno col Parma, tra campionato e Nazionale, 14 quelli targati Milan tra serie A, coppa Italia e Nazionale. Il totale è 34. Mica male...
«È un bel numero eppure non sono ancora riuscito a vincere una classifica qualunque. Per due volte sono arrivato secondo: prima dietro Shevchenko e poi dietro Lucarelli e sempre con la stessa cifra, 23. Mi hanno tolto il gol dello spareggio col Bologna che vale la salvezza del Parma e non capisco ancora perché».
C’è un vuoto in quelle cifre: non ha ancora fatto centro in Champions league. Motivo?
«Ho cominciato al rallentatore, ho rodato il motore nel mese di ottobre, ero in gran forma a Istanbul ma quella sera Shevchenko era letteralmente scatenato».
È rimasto all’asciutto anche nella notte del suo primo derby: spiegazioni?
«L’ho affrontato in modo sbagliato dal punto di vista emotivo: ero troppo teso, mi sono sbloccato solo nella ripresa. La prossima volta andrà meglio. Penserò alla partita solo il giorno prima e non una settimana prima».
Se l’aspettava di riuscire, così in fretta, a completare l’inserimento nel Milan?
«Eppure non è stato facile. Nel calcio italiano, specie nei confronti dei giovani, vogliono tutto e subito. E invece io avevo bisogno di tempo. Dovevo studiare, guardarmi intorno, capire i meccanismi, imitare i santoni del gruppo. Per fortuna io non ho mai smesso di aver fede e speranza».
È in grado di segnalare la svolta tra il periodo nero e quello della fioritura?
«La notte di Empoli, a fine ottobre, un altro mercoledì. Anche allora, come a Livorno, due gol, il secondo molto bello, di testa, su cross di Rui Costa, il più bello di quelli realizzati con il Milan».
Lo sa che lei è un attaccante tripartisan? Riesce ad andare in gol con tutti, con Vieri, Shevchenko e Inzaghi. Cosa vuol dire?
«Vuol dire che riesco a legare con tutti e tre. E questo è importante. Poi decide il mister con chi abbinarmi ma è una qualità che sapevo di possedere. Ai tempi di Parma sostenevano invece che rendevo meglio da solo in attacco, quasi come Adriano o Toni».
A Livorno Kakà ha cambiato ruolo e ha fatto qualche resistenza prima di accettare il suggerimento di Ancelotti: cosa ne pensa?
«Che Riccardo ha fatto benissimo nella nuova posizione. E quando parte da lontano è in grado di fare sfracelli. Lui è un fuoriclasse e può giocare ovunque».
Tornando a Milano, ieri notte Galliani ha preso la squadra da parte e ha tuonato: se giocate così fuori casa, possiamo davvero tornare sotto. È d’accordo?
«A Livorno avevamo la testa giusta e si è visto subito. Il campionato non è finito».
Come ha fatto a sopportare i carichi di lavoro di Milanlab?
«All’inizio è stata dura, lo confesso. È uno staff splendido: me ne avevano parlato, in Nazionale. Adesso mi hanno dato i compiti per le vacanze: di tempo libero non mi resterà granché».
È vero che le hanno imposto di tirar via due denti?
«Certo. L’anno scorso soffrivo di pubalgia a Parma. Qui mi hanno tolto i due denti del giudizio e ho smesso di soffrire».
Cinque mesi di Milan: racconti luci e ombre...
«Mi ha colpito un aspetto: si gioca sempre, tutte le settimane, più volte a settimana. Io ero abituato ai miei ritmi col Parma, una a settimana e gli altri giorni ad allenarmi. Bene: non avevo mai visto e capito la determinazione degli anziani nel voler giocare sempre».


Toni ha smesso di segnare a raffica: può voler dire qualcosa per il mondiale?
«Spero proprio di no. Se Toni rallenta, con la Fiorentina, abbiamo un problema in meno noi del Milan».
Ha pensato al mondiale?
«Prima c’è il Bayern, la coppa Campioni. Ne riparliamo a fine maggio».

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