Certo, «me l'aspettavo questa retata. Dopo quello che è successo a Cernusco sul Naviglio i primi di settembre (l'omicidio Bellocco) era chiaro che qualcosa sarebbe accaduto, la risposta delle autorità era nell'aria e adesso è arrivata».
Nicola Berti per la curva Nord interista è da sempre legato al tormentone «nicolabertifacciungol», idolo del popolo nerazzurro da quando arrivò a Milano nel 1988 e con la squadra conquistò subito uno scudetto (1988-1989), una Supercoppa italiana (1989) e due Coppe Uefa (1990-1991 e 1993-1994). Nel 1998 si trasferì in Inghilterra, al Tottenham, vincendo una Coppa di Lega inglese (1998-1999), per poi chiudere la carriera con le maglie dell' Alavés e del Northern Spirit. Ma nel suo cuore e in quello dei tifosi, è sempre rimasto una bandiera. E domenica, naturalmente, non si è perso il derby. «Mentre ero allo stadio ho fatto indossare un'ottantina delle mie magliette con la scritta meglio sconfitti che milanisti, però non ha portato un granché bene..» riflette.
Lei che ha sempre avuto un rapporto umano speciale con la gente, ma anche con la tifoseria, come giudica quello che sta succedendo e l'arresto di ben 18 capi ultrà?
«Credo che le curve vadano ripulite. Sia chiaro: estorsioni sui biglietti, pizzo sui parcheggi e risse ci sono sempre state, l'associazione a delinquere non mi stupisce. Si tratta di fenomeni di cui non ho mai avuto un'esperienza diretta, ma di cui ho sempre sentito parlare».
E i giocatori, la società? Non c'entrano proprio nulla? Non hanno una responsabilità almeno «morale» in tutto quel che di decadente e criminale sta succedendo?
«I giocatori, come sempre e com'è giusto che sia, si fanno i fatti loro, con la curva non hanno nulla a che fare...La società sì, ha le sue responsabilità, il rapporto con gli ultrà va rivisto, è quello credo il problema di fondo di questa brutta storia. Però voglio sottolineare una cosa che qualcuno definisce una banalità trita e ritrita, ma che resta una realtà assoluta».
Prego, dica.
«Il dialogo tra curve e società è fondamentale e va ristabilito a ogni costo perché per la squadra il tifoso è il dodicesimo uomo in campo: noi giocatori sentiamo moltissimo il tifo. Anche per questo mi auguro che non arrivino squalifiche o che le curve chiudano, scioperando. Per la squadra sarebbe molto negativo. Con queste cose non si scherza. E se poi arrivassero provvedimenti duri, come ad esempio qualche squalifica e proprio adesso che la squadra va bene... Anche se non è proprio l'Inter dell'anno scorso, insomma, sarebbe un bel problema».
Le curve chiuse. Era già successo dopo l'operazione «Alto Piemonte» nel 2018, quando si scoprì che le mani della 'ndrangheta da un pezzo si allungavano sui biglietti della Juventus.
«Ehhhh...» (Alla parola «'ndrangheta» Berti tira un lungo sospiro di disapprovazione, ma preferisce non commentare, ndr).
Cos'è cambiato veramente nelle curve dai suoi tempi?
«Allora tra società e tifoseria c'era molto rispetto reciproco e non si trattava solo di una facciata, di una formalità. I giocatori in campo davano sempre il massimo, non si risparmiavano e, da parte loro, i tifosi ci erano incredibilmente vicini».
A lei in particolare.
«Ma anch'io sono stato sempre vicino ai miei tifosi e non solo a quelli della curva. Non ho mai avuto atteggiamenti boriosi o di superiorità. Vivevo a Milano, la frequentavo, parlavo con la gente. Le persone vedevano e apprezzavano, non solo allo stadio. Il contatto tra noi calciatori era più vero. E il calcio era più giocato e meno chiacchierato. Al contrario di adesso».
Che sia questo
il vero problema? Troppi affari intorno al gioco?«Forse. Si rischia di allontanare la gente dal calcio, dallo sport genuino. E invece io sono così contento di vedere tutte quelle famiglie che vanno allo stadio!».
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