In gioco armi e petrolio

Il viaggio di George Bush negli Stati arabi è cominciato ieri nel Kuwait, dove è arrivato proveniente da Israele. Andrà poi nel Bahrain, negli Emirati Arabi Uniti, in Arabia Saudita e in Egitto. Qualcuno dice che potrebbe recarsi anche in Irak

Il viaggio di George Bush negli Stati arabi è cominciato ieri nel Kuwait, dove è arrivato proveniente da Israele. Andrà poi nel Bahrain, negli Emirati Arabi Uniti, in Arabia Saudita e in Egitto. Qualcuno dice che potrebbe recarsi anche in Irak. Scrive il Jerusalem Post che a Riyad Bush berrà il tè con il re saudita Abdullah nel palazzo Nasirya, al cui interno vi sono pavimenti di marmo, candelieri di cristallo, pareti nelle quali sono stati incastonati oro e pietre preziose. Questo lusso è possibile grazie alla produzione petrolifera saudita. Riyad è certo soddisfatta del prezzo raggiunto per barile: 100 dollari. I sauditi hanno ridotto la vendita a 450mila barili al giorno, nonostante le richieste degli Usa. Costo del greggio ed estremismo politico si intrecciano.

Washington ha ripetutamente esortato alcune capitali arabe a manovrare in modo da reprimere quei circoli e quei movimenti che incitano all’estremismo, all’odio. Bush deve agire con circospezione: c’è da risolvere il problema del petrolio, diventato per il suo Paese troppo caro. Il capo della Casa Bianca si presenta quindi ai sauditi con un pacchetto di armi, la cui vendita certo non sarà gradita a Israele: si tratta di un accordo da 20 miliardi di dollari di cui fanno parte le Jdams (Joint direct attack munitions), «bombe intelligenti» guidate dal laser. Gli americani cercano con questo contratto non solo di ricevere il petrolio di cui hanno bisogno,ma anche di ottenere la fedeltà del reame che, nella strategia Usa, è destinato a divenire il punto di riferimento della coalizione anti- Iran. L’Iran e la jihad islamica sono i protagonisti di una guerra che mette in pericolo il mondo intero.

Bush sa benissimo che dipende dalla sua abilità in questa visita in Medio Oriente se la pace può tentare di spiccare il volo. La strategia del presidente non riguarda solo «due Stati per due popoli», le bombe, i missili, i terroristi dell’Iran e di Al Qaida, siriani, Hamas, Hezbollah e altri. Agli arabi Bush appare debole con le sue «bombe intelligenti» se, mentre si trova a Gerusalemme, i sauditi inviano un messaggio di autonomia, quasi di minaccia: qualunque cosa il presidente americano e Olmert dicano dell’Iran, Riyad stabilirà da sola e senza influenze esterne le proprie posizioni. Nei giorni della permanenza del capo della Casa Bianca in terra israeliana, Hamas, armato da Teheran, intensificava i lanci dei suoi razzi contro le case degli ebrei. E i capi sciiti libanese Nasrallah e iracheno Al Sadr invitavano i leader arabi a boicottare Bush.

Ari Larjani, rappresentante della «guida suprema» iraniana Ali Khamenei, era in Siria per dimostrare che l’Asse è sempre attivo: a Damasco ha incontrato i capi di Hamas e degli hezbollah.

Bush parlerà di questo con i leader arabi che incontrerà in questi giorni, ma per stabilire un rapporto di rispetto dovrebbe essere subito da chiarire almeno un punto: la propaganda dell’odio anti-israeliana deve finire, altrimenti la sua politica diventa una beffa.

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