Giovane, global, smart Ecco la nuova Finarte

Sono cambiati la proprietà, la sede e gli oggetti trattati «Con pezzi fashion e vintage parliamo a tutti i collezionisti»

Francesca Amé

Collezionare arte è un investimento del cuore, inutile girarci troppo intorno. Sì, è vero: il mercato è vivace, l'arte contemporanea ha reso movimentato un settore che pareva stantio, investire in arte è diventato uno status-symbol di discreta resa, ma il piacere di possedere un pezzo unico (piccolo o grande che sia, più o meno costoso, antico o recente) è ciò che conta davvero. Solo vista così l'arte è un investimento sicuro: uno di quelli che darà sempre, e per lungo tempo, soddisfazione.

Il collezionista nutre la sua passione nelle gallerie, nei musei ma è durante la «prova muscolare» delle battute d'asta che dà il suo meglio: è lì, nella gara per aggiudicarsi l'opera ambita e nel plauso degli astanti, che si cela una parte (non secondaria) del piacere di costruire una collezione.

Per questo motivo, il miglior alleato di ogni un buon collezionista è una casa d'aste di fiducia. A ben analizzare la situazione italiana, emerge il peso dei grossi nomi internazionali che giocano però le loro migliori partite sulle piazze di New York e Londra e delle cosiddette case d'aste di famiglia, brave ad accontentare i salotti altoborghesi. Diversa è invece la storia di Finarte, unica casa d'aste fondata da collezionisti nel 1959, in via Broletto, dal banchiere milanese Gian Marco Manusardi e oggi pronta a tracciare una strada finora inesplorata, alla ricerca del consenso di una nuova generazione di collezionisti giovani, global e smaliziati. Come fare?

Innanzitutto con una sede nuova di zecca che è un biglietto da visita: siamo al civico 8 di via Paolo Sarpi, forse la via più internazionale e in fermento di Milano, in quello che un tempo era il Cinema Teatro Aurora e che ora, grazie all'estro dell'architetto Anna Maria Voiello, è stato trasformato in mille metri quadrati utili ad allestire opere d'arte e organizzare le aste, le attività degli uffici e il caveau. Si entra in questo spazio bianco, pieno di luce, con il soffitto a cassettoni perfettamente ristrutturato: spicca alle pareti una pregevole carrellata di fotografie d'autore: è il cuore della prossima asta di mercoledì.

Non è tuttavia il debutto del nuovo corso di Finarte: quello è avvenuto già la scorsa primavera, con una fortunata asta dedicata a una pregevole collezione di borse Hermès, un centinaio di lotti con modelli iconici, perfettamente conservati, di Birkin e Kelly, accessori che hanno segnato la storia della moda e del costume (la prossima dedicata al luxury fashion sarà il 28 novembre).

L'aria che si respira è frizzante: «Come casa d'aste ci proponiamo di appassionare un pubblico nuovo spiega Vincenzo Santelia, ad di Finarte -: offriamo trasparenza e competenza utile a guidare nel mondo del collezionismo chi vi si accosta per la prima volta».

Da qui, la scelta di aprire in Paolo Sarpi, per intercettare sia il pubblico internazionale (russi, cinesi) che italiano: sono i 40/50enni che hanno fatto fortuna con la new economy, persone non abituate per tradizione familiare a collezionare ma curiosi, colti, aperti al nuovo, amanti del bon vivre. Attenzione sì all'arte moderna e contemporanea, ma anche alla numismatica e ad altri settori emergenti del collezionismo quali quello dei vini, dell'automotive e, appunto, del luxury fashion.

La fotografia? «Un mercato in crescita: è un arte alla portata di tutti, non solo per i prezzi ma anche per la sua immediata comprensione», spiega Santelia.

Il mercato italiano delle aste deve costruire un suo stile peculiare dove non conta l'investimento iper-ingente e spesso eterodiretto dalla banca (quella è prerogativa di certi fondi americani o degli

sceicchi del Golfo: lasciamoglielo), ma la passione personale. Un'asta, sia essa di opere d'arte o di borse, di fotografia o di vini, non può rappresentare (solo) un investimento economico, ma la realizzazione di un sogno.

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