La "Giuditta" di Botticelli al Museo Diocesano

Il capolavoro del Rinascimento può essere ammirato da oggi fino al 14 dicembre

La "Giuditta" di Botticelli al Museo Diocesano

Dalla Galleria degli Uffizi di Firenze al Museo Diocesano (corso di Porta Ticinese 95). Così la «Giuditta» di Botticelli approda nel capoluogo lombardo e fa sì che questo capolavoro del Rinascimento possa essere ammirato, dal primo ottobre e fino al 14 dicembre, grazie alla iniziativa culturale Un Capolavoro per Milano che si avvale del contributo di BPM Gestioni-Banca Popolare, dello stesso Museo Diocesano, di Metro Italia Cash & Carry e di B-Comunications. Il titolo completo dell’opera, la quale è databile intorno al 1470, è «Il ritorno di Giuditta e Betulia». Fu proprio in questo periodo infatti che l’artista fiorentino Alessandro Filipepi (Firenze 1445-1510), detto Botticelli, elimina gradualmente l’impasto chiaroscuro proponendo una particolare interpretazione delle leggi prospettiche del tempo, cercando di definire le figure in movimento tramite eleganti evoluzioni dei panneggi. In questo modo le figure, grazie alla particolare ricerca dell’incidenza della luce e degli ornamenti, creati accentuando l’uso degli elementi lineari e cromatici, appaiono come eleganti silhouettes piuttosto che come corpi tridimensionali. Così Botticelli compì una svolta stilistica che andò a caratterizzare l’arte a venire: una ricerca, questa del maestro fiorentino, propria dei suoi anni più maturi. Il tema della «Giuditta» è presente nell’arte italiana a partire dal Medioevo con una forte valenza simbolica. Va ricordato che l’eroina biblica è sempre stata interpretata come una figura mariana decisa all’estremo sacrificio per la salvezza del popolo. «Perché questo passaggio così delicato? Perché questo incedere come di danza? Perché questo volto che l’ombra del pensiero distrae dal presente? A che cosa pensa Giuditta? Al passato appena trascorso? Al futuro che ancora non sa? O forse al suo destino? A ciò che il Signore le ha indicato e che lei non aveva immaginato e per il quale, smesse le vesti vedovili, si è fatta nuovamente bella...». Sono queste le domande che si pone Paolo Biscottini, direttore del Museo Diocesano, davanti a tanta straordinaria bellezza e intensità psicologica dipinta con quella pensosa malinconia che ha sempre caratterizzato le opere del maestro fiorentino. E intorno a questi interrogativi si sono mossi, ieri all’inaugurazione, gli interventi di Mario Brianza, presidente dell Fondazione Sant’Ambrogio e Salvatore Catalano, presidente di BPM Gestioni. Sempre proveniente dagli Uffizi, per l’occasione è esposto anche il «pendant» della Giuditta, «La scoperta del cadavere di Oloferne», che completa il progetto narrativo dell’artista. Due punte focali di acceso cromatismo e marcato espressionismo che richiamano per contenuto alla violenza della storia, al senso caduco e materiale della stessa vita umana. Ambedue le opere, relativamente piccole come formato, suggeriscono di essere ammirate a distanza ravvicinata, proprio come il loro utilizzo originario del resto dettava: icone destinate a una devozione privata, il loro valore di vero e proprio dittico fece sì che nel Seicento fossero presentate all’interno di un’unica cornice. Scegliendo uno schema compositivo del tutto nuovo e articolando la narrazione in due scene, o meglio in due opere del tutto distinte, all’interno delle quali cambia tono e registro linguistico, Botticelli propone una lettura fedele del testo biblico.

«Il ritorno di Giuditta a Betulia» mostra colori chiari e toni luminosi ed è proprio quell’aria leggera e quasi leziosa che attraversa la scena, al contrario dei toni drammatici e bui de «La Scoperta del cadavere di Oloferne» a far aleggiare il senso del divino, fortemente contrapposto al senso della materia, percepibile nella drammatica immagine dell’altro dipinto.

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