«Giuro, ti ucciderò». Dopo sei anni l’ha fatto

Vanni Zagnoli

da Parma

«Gliel'aveva giurata, la voleva uccidere». Veronica, amica più grande di Silvia Mantovani, la studentessa di medicina di 28 anni uccisa dall’ex, si aspettava che finisse così. Un giorno l’assassino aveva minacciato anche lei, in un bar alle porte di Parma. Aveva inseguito in macchina le due ragazze anche allora: «Falla scendere, altrimenti ammazzo anche te», sbraitò. Era il 2000 ma da quel momento Silvia non denunciò più il suo ex fidanzato, Aldo Cagna, 28 anni, agricoltore con un podere a San Genesio di Berceto, sull'Appennino Parmense. Sono datati marzo (per un episodio a Fontanellato), e aprile di sei anni fa i suoi due esposti contro quel ragazzo che non la lasciava vivere: capelli lunghi, raccolti in una coda, la barba incolta. Aveva continuato a tormentarla, a mandarle sms e a telefonarle, anche se lei ogni tanto cambiava numero. E la gelosia martedì sera ha preso il sopravvento. Non sopportava che Silvia si fosse messa con un altro, 4 anni fa: Lorenzo Reverberi, un bravo ragazzo di Monticelli Terme.
Martedì sera Silvia era uscita dal lavoro, verso le 23. Dalla Colombus di Martorano, da uno stabilimento per la lavorazione del pomodoro. Si stava per laureare in Infermeria, una laurea breve, di tre anni, collegata alla facoltà di medicina. Le mancava un solo esame e per mantenersi gli studi si sacrificava in lavori saltuari. Da pochi giorni aveva cominciato la campagna dei pomodori.
Silvia sale sulla sua Lancia Delta blu, per tornare a casa. Lì scatta la furia di Aldo. La insegue su una Panda verde per alcune centinaia di metri, la tampona, poi l'affianca speronando la macchina. Esce e l'aggredisce verbalmente, lei abbassa il finestrino per chiedere spiegazioni. Questione di attimi: quattro coltellate al volto, lei prova a difendersi, con la mano sinistra, un altro fendente al cuore. In tutto sono otto. Silvia si accascia sul volante, con la cintura di sicurezza ancora allacciata, morendo sul colpo. Nell'abitacolo restano i suoi zoccoli bianchi e una sigaretta spezzata; sul sedile il segno di una pugnalata, sul vetro alcune gocce di sangue.
Aldo scappa confuso, fa quindici chilometri in macchina, poi si ferma e prosegue a piedi. Forse è lì che si libera dell'arma, non ancora ritrovata. Telefona a suo padre, medico pediatra, a Berceto, che lo convince a costituirsi. Viene notato da un vigilantes, Paolo Pedroni. È sconvolto. «Ho commesso una grande cazzata - dice all'agente dell'Ivri -, ho accoltellato una ragazza. Non voleva neanche più parlarmi al telefono. Cosa ho fatto? Adesso sono rovinato».
Il metronotte chiama la polizia, mentre un suo collega trova la Delta con il corpo di Silvia. «Subito non credevo al suo racconto, invece purtroppo era tutto vero. Io stesso a quel punto mi sono spaventato, quel ragazzo poteva uccidere anche me».
Maglietta nera, a righe bianche, Cagna viene arrestato dai poliziotti. Confessa, anche se fatica a mettere insieme una frase dal senso compiuto. Poi in questura, davanti al pm Giorgio Grandinetti, ritorna freddo e si avvale della facoltà di non rispondere. Ora è rinchiuso nel carcere di via Burla, per omicidio volontario premeditato.
La famiglia Mantovani è conosciutissima, nel quartiere popolare Oltretorrente, alla periferia di Parma. La sorella Angela e i genitori Carlo e Laura, gestiscono da ben 40 anni il bar latteria 65: entrambi cardiopatici sono finiti al pronto soccorso per un malore. Il padre di Silvia resta ricoverato in osservazione, all'ospedale Maggiore. Cagna era pregiudicato, per reati contro il patrimonio e la persona e pure per droga. Le analisi confermeranno se l’assassino ha agito sotto l'effetto di stupefacenti. L'ultimo arresto tre anni fa, per avere organizzato un mercatino di spaccio in via Bixio. Poi sembrò essere un po'cambiato. Si era ritirato in un podere a Barceto fra polli e galline. «Lavorava sempre, anche i sabati e le domeniche - dicono alcuni anziani-, a noi sembrava un ragazzo a posto».
La sua relazione con Silvia era stata molto tribolata. E violenta. «La picchiava, una volta era finita in ospedale», ricorda un parente. Si erano messi insieme dieci anni fa, appena maggiorenni. Ma da almeno sei anni Silvia Mantovani non voleva più avere a che fare con Aldo. Aveva anche chiesto aiuto agli amici perché lo tenessero alla larga.
«Conoscevamo la persona - accusa ancora l'amica Veronica -, a Parma tutti sapevano chi era quell'uomo. Non hanno fatto niente per proteggerla, nonostante in tanti avessimo firmato esposti.

Era violento. Per due mesi avevo ospitato Silvia a casa mia, perché lui la braccava ovunque: nel negozio dei genitori, nella loro casa di montagna. Adesso lei stava bene, aveva ritrovato se stessa, dopo un tormento infinito».

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