Gottfried Benn, consigli di lettura e stroncatura

Legga, la prego, quando ne avrà il tempo, Evola e Céline. «Apocalittico!» il primo, «Uno che sputa e vomita d’istinto!» il secondo, sentenziava col punto esclamativo Gottfried Benn, raccomandando all’amico Rivolta contro il mondo moderno e Viaggio al termine della notte. Si cerchi Hamsun: «Ne viene un tanfo di consunzione e viltà. Il più scandaloso quadro d’una vecchiaia insensata», fremeva ammirando gli autoritratti senili del gigante norvegese. E Balzac: «Aforista e psicologo notevole». Tolstoj: «Un gran bolscevico!». Conrad: «Di lui mi piacciono anche le lungaggini. Non c’è frase che non mi conquisti: tutte sature dell’elemento equivoco e chiassoso dello scrivere».
Il poeta tedesco trinciava giudizi al vivo dell’impressione immediata rivolgendosi a F.W. Oelze. Non era un letterato il destinatario delle sue note di lettura divenute, in oltre vent’anni – dal 1932 del primo timbro postale al ’56 della morte dell’epistolografo – appunti di viaggi e romitaggi da emigré, cronache di guerra, Memoire di Casanova, confessioni d’asceta, diari di solitudine e di resistenza. C’è tutto Benn nelle Lettere a Oelze (Adelphi, pagg. 418, euro 30): il lirico, il soldato, il dottore «aristocraticamente emigrato» dalla Germania hitleriana. È una massa di scrittura magmatica, incandescente, quella raccolta nei tre volumi di epistolario. E basta il primo – ora a disposizione nella versione di Giancarlo Russo e Amelia Valtolina –, col materiale datato 1932-45 e segnato dalle conflagrazioni della guerra, a dare il grado della temperatura di questi documenti.
Basta raccogliere i lapilli raffreddati dalla mente intenta a pronunciare considerazioni (impolitiche?) di letteratura. Perché quando le manifestazioni d’ammirazione cedono ai toni della stroncatura, contro l’autore delle Considerazioni di un impolitico ad esempio, le pagine del nichilista sfiorano il calor bianco che incenerisce. Così, se concede che «Thomas Mann è certamente un grande tedesco», in un’occhiata gli taglia addosso l’abito che lo spoglia d’ogni aura e charme: «Il nostro signore snello, elegante, col naso prominente: i pantaloni alla zuava e gli sci con cui lo si vede in fotografia non riescono a dissimularne l’aria ridicola. Crede di fare sempre la sua figura. Si considera imponente ed è soltanto professorale».
Altrove e con altri Benn è più garbato. Per educazione, doverosa verso un signor pen-friend: Oelze, il ricco commerciante di caffè, pianista provetto e lettore di Goethe. È più mite con Stendhal, «un pochino noioso», o Huxley: «partì con romanzi d’appendice e tornò con le scipitezze d’un benessere garantito dalle alte tirature». Ma Rilke è «un miscuglio di sozzura maschile e grandezza lirica». Hölderlin «ha scritto versi di grande tristezza e profondità, ma le sue Odi orrende sono superflue». E Strindberg, «autorevole rimuginatore, vuole elevare la donna invece di levarle il vestito. Così deve far colpo su di lei disponendo con gusto tazze, portaburro e tovagliette per la colazione». Benn è tanto più irresistibile quanto più fulminanti sono i suoi strali. Fa un po’ male quello diretto a Jünger: «È un problema non chiarito.

Trovo in lui un’enorme quantità di Kitsch interiore, prosopopea, ampollosità». Peccato. E sì che Jünger, in Avvicinamenti, ha parole di affettuosa ammirazione per il poeta dai sopraccigli leggiadri «come ali di tortora, o di gabbiano».

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