Il governo in imbarazzo per una Finanziaria farsa

Egidio Sterpa

Tra le tante polemiche sulla Finanziaria vediamo di stare ai fatti, mettendo da parte per un momento le congetture. La legge - la più importante, perché senza di essa lo Stato risulterebbe paralizzato - è tornata alla Camera (che la discuterà a partire da domani) per un secondo voto di fiducia dopo l’approvazione con voto di fiducia al Senato di un maxiemendamento di 1.365 commi - un record - contenuto in ben 358 pagine. Anche il primo voto di fiducia alla Camera, com’è noto, servì per approvare un precedente maxiemendamento di 826 commi contenuto in oltre 250 pagine.
Da notare che il testo della Finanziaria attualmente alla Camera è il risultato di più di due mesi di discussioni e polemiche nelle commissioni e nelle aule dei due rami del Parlamento. Una «giostra di emendamenti» (cito per obiettività uno scritto apparso sul Messaggero del dottor Andrea Monorchio, già bravo ragioniere dello Stato) «presentati, ritirati, riscritti, ripresentati, modificati in corso d’opera» (sic!). Un «mostro legislativo», qualcuno l’ha definita. Tanto che il senatore a vita Andreotti, non certo un estremista, giovedì scorso al Senato ha preannunciato che non l’avrebbe approvata, come poi ha fatto coerentemente, suggerendo il rimedio dell’esercizio provvisorio. A loro volta gli ex capi dello Stato Ciampi e Cossiga, hanno sì votato forzatamente a favore, ma il primo marcando come «improprio» e «da dismettere» questo modo di legiferare, il secondo definendo «ridicolo e aberrante» il maxiemendamento. Perfino Prodi, in una dichiarazione a Bruxelles, extramoenia quindi è stato costretto ad ammettere che la sua Finanziaria è una «medicina amara».
Continuiamo con le citazioni. La Conferenza dei rettori delle Università italiane ha chiesto a tutti gli atenei di «sospendere ogni invito a membri del governo a partecipare a manifestazioni nelle Università» (una cosa mai accaduta). Non sono mancate manifestazioni delle forze dell’ordine e perfino di operai (quelli di Mirafiori, per esempio, con fischi ai massimi leader sindacali), oltre che di artigiani, professionisti, piccoli imprenditori, anche queste senza molti precedenti. Aggiungiamoci qualche indiscrezione dal Quirinale: il Capo dello Stato in incontri non ufficiali avrebbe espresso imbarazzo al cospetto di una Finanziaria come quella in atto. Altrettanto imbarazzo deve esserci in Fassino, che ha più volte insistito sulla necessità di «cambiare passo», dando sui nervi a Prodi, che ha reagito piuttosto scompostamente. Persino Rutelli, sempre cauto e attento a non rompere le uova nel paniere, questa volta ha fatto ricorso ad una insolita ironia replicando al suo premier: «Non vogliamo chiamarla fase due? Chiamiamola pure Topolino», il che la dice lunga sulla consistenza e sulle prospettive della maggioranza. A sostenere Prodi incondizionatamente sono rimaste frange estremiste della coalizione di governo, che evidentemente temono di rimanerne fuori in caso di crisi.
Insomma, la credibilità di questo governo è davvero al minimo. Non ci sono solo l’Ocse e le agenzie di rating e segnalarne l’inattendibilità. Un intellettuale di sicura sinistra come Gianfranco Pasquino, già parlamentare, non ha esitato a dire al Giornale che non è in questione una presunta cattiva capacità di comunicazione del governo Prodi, ma piuttosto il fatto che non ci sono «cose buone da comunicare». La capogruppo dei senatori dell’Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro pur sbracciandosi a difendere la posizione è stata anch’essa costretta ad ammettere che la sinistra ha commesso «errori straordinari».
Sono davvero pochi i riconoscimenti positivi a questo innegabile obbrobrio di Finanziaria. A difenderla ostinatamente c’è solo Prodi, che si esibisce, come ha fatto al Senato, in abbracci al ministro dell’Economia Padoa-Schioppa, il quale non si capisce come faccia, lui che qualche vera competenza in economia dovrebbe averla, per giunta con un passato apparente da liberista, a farsi coinvolgere in una lampante brutta avventura.

(A proposito, ministro, lei cortesemente sabato scorso, incontrandomi casualmente a palazzo Madama, mi ha detto che mi deve una risposta per certe osservazioni che le ho rivolte dalle colonne del Giornale. Sono in attesa).

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