«Il governo non lotta contro la corruzione»

da Roma

Gianfranco Tatozzi parla chiaro, perché ormai le sue dimissioni da Alto commissario anticorruzioni sono «irrevocabili». Dice di essere una vittima dello «spoil system» e di volere salvare con il suo gesto l’organismo che ha guidato dal 2004 e dove sarebbe dovuto restare fino al 2009. Nella conferenza stampa in cui spiega la sua decisione denuncia «l’isolamento professionale» in cui l’ha chiuso il governo Prodi, parla del colloquio con il presidente del Consiglio inutilmente richiesto, delle iniziative dell’esecutivo per smantellare l’Alto commissario dal progetto Nicolais al decreto Bersani e di quelle che l’hanno convinto dell’«insensibilità istituzionale» per la lotta alla corruzione, a cominciare dalla clamorosa norma sulla prescrizione dei reati contabili in Finanziaria. «Hanno detto che quel comma verrà tolto - sostiene Tatozzi -, ma il segnale è eloquente della carenza di una politica organica nella lotta alla corruzione».
Dopo l’annuncio delle dimissioni Tatozzi non ha ricevuto nessuna telefonata dal Palazzo e, d’altronde, non si aspettava certo che qualcuno volesse fermarlo. Evidentemente, c’erano altri progetti per quella poltrona. «Purtroppo - dice-, io rappresento un residuo dello scorso governo di centrodestra, in un mondo politico dove è diffuso lo spoil system. Ma il mio contratto di 5 anni non è stato fatto da Berlusconi, bensì da un decreto firmato dall’allora presidente della Repubblica Ciampi. Prodi non mi ha mai voluto ricevere in questi mesi, nonostante questa struttura dipenda funzionalmente dalla Presidenza del Consiglio. Così, ho le mani legate e offro la mia testa su un piatto d’argento. Da domani (oggi, ndr) tornerò a fare il magistrato, sperando che ci sia qualcuno che prenderà il mio posto, cosicché questo organismo possa sopravvivere».
Ma prima di andarsene sbattendo la porta, perché quel rumore serva a far cambiare le cose, Tatozzi fa il bilancio dei suoi 2 anni di attività, dall’organizzazione di un ufficio «del tutto inesistente» all’inizio delle operazioni a metà 2005: la prima indagine, sulla base di una denuncia di Gino Giugni, sugli incarichi delle docenze di Diritto del lavoro; a maggio 2006, sulla base di una relazione del nucleo speciale della Guardia di finanza, un’altra inviata al ministro delle Infrastrutture sui controlli interni all’Anas; sempre a Di Pietro è stata poi consegnata quella su settori specifici dell'Anas, dove si riscontravano danni all’erario. Ecco, sottolinea Tatozzi, «con la nuova normativa, che riduce i termini di prescrizione dei reati a danno dell’erario, l’intera indagine andrebbe vanificata». Idem per il caso della concessione di 310 milioni di euro di fondi dell’Unione europea al settore agricolo, illecitamente riscossi. Tutti danni all’erario che non potrebbero potrebbero essere recuperati.
Quattro giorni fa la Guardia di finanza ha consegnato a Tatozzi un'indagine sulla Federcalcio e sul sistema di controlli interni, mentre proprio ieri è arrivato un altro rapporto sulla Asl di Vibo Valentia. «Non potrò neanche aprirlo, lo lascerò al mio successore visto che il governo Prodi non ha voluto neppure nominare un mio vice», commenta amaramente l’ormai ex Commissario.
Queste dimissioni sono «un segnale preoccupante per il nostro Paese», commenta l’azzurro Renato Schifani. Tatozzi ha dovuto lasciare, aggiunge Alfredo Biondi di Fi, perché non era «manovrabile».

Il governo «tradisce i cittadini anche su lotta alla corruzione», incalza il leghista Roberto Castelli. Ma Leoluca Orlando dell’Italia dei valori ricorda che è stato il governo Prodi, «dopo 5 anni di inattività del suo predecessore, a ratificare ad agosto la Convenzione delle Onu contro la criminalità».

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