Il governo salva i tre volontari Oggi la partenza per l’Italia

«Liberi per mancanza di prove». Il risultato finale, il sunto della complessa partita giocata da diplomazia italiana e servizi segreti di Kabul è tutto in quel comunicato, in quell’implicita ammissione di sconfitta della Direzione Nazionale per la Sicurezza, la struttura d’intelligence afghana. Quel lapidario comunicato è l’autentico foglio di via che, ieri pomeriggio, apre le porte della libertà a Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani, i tre operatori di Emergency arrestati sabato 10 aprile con l’accusa di aver partecipato ad un complotto talebano contro il governatore della provincia di Helmand. Grazie a quel comunicato il governo di Kabul può accettare la richiesta della delegazione della Farnesina guidata dall’ambasciatore Massimo Iannucci di concedere la liberazione immediata e consegnare i tre volontari ai nostri diplomatici.
Così, nel primo pomeriggio di ieri Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani vengono accompagnati fuori dalla struttura dei servizi segreti in cui erano stati rinchiusi dopo il trasferimento da Lashkar Gah a Kabul. Contrariamente a quanto si temeva non si tratta di un carcere ma, come spiega a cose fatte il ministro degli Esteri Franco Frattini, di una «guest house», ovvero «una struttura nuova e non paragonabile a una camera di sicurezza» dove i tre erano già stati «visitati dal nostro ambasciatore». Una volta fuori, i volontari di Emergency vengono scortati verso la rappresentanza italiana dove, dopo l’incontro con l’ambasciatore e le nostre autorità diplomatiche, ricevono la visita dell’inviato Onu Staffan De Mistura. Il rappresentante del Palazzo di Vetro è il primo a confermare le buone condizioni dei tre ex prigionieri. «Stanno bene, è finita», dichiara immediatamente Staffan De Mistura. A questo punto non resta che attendere che il loro arrivo in Italia previsto già per oggi grazie ad un volo di Stato.
La loro liberazione è un sollievo anche per il ministro degli Esteri Franco Frattini accusato inizialmente da Emergency e dagli esponenti del partito di Di Pietro di non aver preso troppo a cuore la vicenda. «Non abbiamo seguito voci polemiche e strumentali, per fortuna isolate, che chiedevano un approccio di forzatura, imposizione e di accusa formale. I risultati di oggi parlano da soli», commenta il ministro nel corso dell’immediata conferenza stampa convocata a palazzo Chigi assieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta.
Frattini sottolinea più volte come Farnesina e governo abbiano puntato soprattutto a risultati concreti. «Abbiamo ottenuto quello che era il nostro obiettivo prioritario, e cioè la libertà per i nostri connazionali senza mettere in discussione la nostra posizione di ferma solidarietà con le istituzioni afghane e la coalizione internazionale nella lotta contro il terrorismo in Afghanistan». La frase illustra il contesto politico in cui si è svolta la trattativa. Un contesto molto delicato in cui bisognava cercar di contrastare le accuse mosse dai servizi segreti afghani senza urtare la suscettibilità del presidente Hamid Karzai e del governo afghano. Non a caso il capo delegazione Iannucci aveva innanzitutto consegnato al presidente afghano Hamid Karzai una lettera firmata dal presidente del Consiglio Berlusconi. Quella lettera sottolineava l’amicizia e la collaborazione tra i due Paesi, ma chiedeva anche chiarimenti rapidi sui capi di imputazione e il rispetto dei diritti processuali e di difesa. Karzai, tirato personalmente in causa, aveva subito assicurato un’indagine trasparente e una veloce risposta del Consiglio di sicurezza afghano dal lui presieduto. Quella lettera è insomma la chiave per spiazzare l’intelligence di Kabul e costringerla ad ammettere di non esser in grado di collegare direttamente i tre di Emergency al carico di armi rinvenuto durante la perquisizione dell’Ospedale. Non a caso, come spiegano sia Frattini sia il sottosegretario Letta, proprio la mancanza di «elementi sufficienti per formulare un’accusa» garantiscono la positiva soluzione della vicenda.
Nella conferenza stampa Frattini illustra anche la soluzione giuridica messa a punto per ottenere il rilascio. «Il governo afghano ha chiesto l’impegno formale del governo italiano, qualora emergano successivamente alla liberazione delle accuse nuove, o si approfondiscano le accuse originali che siano le autorità giudiziarie italiane con la legge italiana ad occuparsi del caso....

una garanzia che rappresenta evidentemente un gesto di fiducia verso l’Italia». Insomma, se anche l’intelligence afghana tornerà alla carica ed esibirà nuove prove sarà la magistratura italiana a valutarle e a giudicare i nostro connazionali.

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