I quotidiani di casa Agnelli soffiano sul fuoco dello spread

"Repubblica" e "Stampa" dimenticano che c'è stato il rialzo dei tassi voluto dalla Bce. E accusano l'esecutivo di centrodestra

I quotidiani di casa Agnelli soffiano sul fuoco dello spread
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A volte, per "Repubblica" e la "Stampa", lo spread è come una madeleine proustiana: evoca i bei ricordi del tempo che fu, quando nei corridoi di Palazzo Chigi deambulava il loden di Monti e i due giornaloni pendevano dalle labbra (semi-occluse) di Draghi. Ora che governa il centro-destra, il differenziale di rendimento fra Btp e Bund tedesco è invece tornato a essere il colesterolo cattivo che intasa le arterie dell'Italia.

L'altroieri è infatti bastata un'escursione, peraltro fugace, a quota 200 punti del famigerato termometro finanziario per far scattare, a tipografie unificate, l'allarme rosso nei due quotidiani controllati dalla Exor della famiglia Agnelli. La tesi, sorretta da un profluvio di titoli a caratteri cubitali, disamine ansiogene e interviste da indice accusatorio, è che la deriva spendacciona presa dal governo sia la causa delle tensioni sui nostri titoli di Stato. Se Carlo «spending review» Cottarelli verga su la «busiarda» un editoriale col piglio incupito dell'ultrà nerazzurro dopo la sconfitta col Sassuolo («La solita manovra che scorda il debito»), su «Rep» si oscilla dagli alti lai dell'economista tedesco Daniel Gros contro il dilettantismo di chi sta al timone e mette quindi in fuga gli investitori, al rammarico espresso da Paul de Grauwe (London School of Economics) per non poter propinare all'Italia «una massiccia dose di austerity». È il «famolo a la greca» che tanto sarebbe piaciuto all'ex capo delle Finanze tedesche, Wolfgang Schaeuble. Ed è anche la solita narrazione buona per gli (e)lettori delle ztl, quelli della frangia radical-chic-radicata a Milano entro la cerchia dei Navigli («Per transitare da Quarto Oggiaro servono le guardie del corpo») e quelli che a Roma usano il Gra solo per andare a Capalbio. La verità è che l'andamento dello spread, quello messo nero su bianco dai grafici, racconta un'altra storia.

Nel febbraio 2021 Draghi arriva a Chigi quando la forbice di rendimento Btp-Bund è poco sopra i 90 punti. Complice il Covid che ha terremotato le economie del pianeta e polverizzato la propensione al rischio, lo spread prenderà nei mesi successivi l'ascensore arrampicandosi oltre quota 200. E su quei livelli resterà fino all'uscita di scena dell'ex capo della Bce (ottobre '22), nonostante il balzo della crescita economica (+8,3% nel 2021) con cui viene praticamente colmato il buco creato dalla Grande recessione, il varo da parte dell'Eurotower del piano di acquisti contro la pandemia (il Pepp da 1.850 miliardi di euro) e il mantenimento delle misure di alleggerimento quantitativo decise ai tempi della crisi del debito sovrano nell'eurozona. Eppure, non un fiato da Repubblica e Stampa. Il peccato capitale di chi attribuisce agli svarioni finanziari del governo di Giorgia Meloni il (presunto) surriscaldamento dello spread è l'omissione del peso che, ovunque e non solo in Italia, stanno avendo i ripetuti rialzi dei tassi decisi a Francoforte sui rendimenti dei titoli di Stato. Senza che, comunque, si possa ancora parlare di allarme. Secondo Unimpresa, la media 2023 dello spread è infatti pari a 176 punti base, un valore inferiore di 20 punti rispetto ai 196 punti del 2022. «Questa preoccupazione la vedo soprattutto nei desideri di chi immagina che un governo democraticamente eletto che sta facendo il suo lavoro, che ha stabilità e una maggioranza forte, debba andare a casa per essere sostituito da un governo che nessuno ha scelto», ha detto ieri la premier. Che poi sfodera l'arma dell'ironia: «A me diverte molto il dibattito: già si fanno i nomi dei ministri e dei governi tecnici. I soliti noti vorrebbero il governo tecnico e la sinistra ha già la lista ministri», anche se l'Italia «è una nazione solida, ha una previsione di crescita superiore alla media europea per il prossimo anno. Lo spread ha ricominciato a scendere. Dopo aver letto alcuni titoli gli investitori hanno letto anche i numeri della Nadef».

Del resto, fin dai tempi del Berlusconi «unfit» (nel linguaggio «upper class» - cioè da puzza sotto il naso - di quell'Economist ora in pancia proprio a Exor) lo spread è stato usato a mo' di randello per bastonare i governi sgraditi. E così, visto che la Bce sta tirando i remi in barca con la rimozione di tutti gli stimoli e con lo scudo anti-spread siamo messi ai livelli da supercazzola, occorre comunque prendere qualche misura preventiva.

Magari chiedendo il contribuito dei risparmiatori, che da lunedì prossimo potranno acquistare il Btp Valore che garantisce un 4,10% per il primo, secondo e terzo anno e un 4,50% per il quarto e quinto anno. Per chi non ha letto «La Recherche» in francese ma solo in aramaico, è anche un buon modo per difendersi dai lanzichenecchi di Rep e Stampa.

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