Ilva, attività sospese. A comunicarlo è stata Acciaierie d’Italia con una lettera venerdì sera alle 145 imprese dell’indotto.
La lettera alle imprese appaltatrici
“Per sopraggiunte e superiori circostanze - si legge - vi comunichiamo con particolare rammarico, la necessità di sospendere le attività oggetto degli Ordini, nella rispettiva interezza, prevedibilmente fino al 16 gennaio 2023, oppure fino all’anteriore data prevista dagli Ordini quale termine di consegna”.
Alla sospensione delle attività si aggiunge la richiesta di sgombero immediato di attrezzature e materiali: "In ragione di quanto sopra e qualora il cantiere sito di esecuzione degli Ordini sia attivo presso il nostro stabilimento, è senz’altro urgente che provvediate a smobilizzarlo, previa messa in sicurezza dello stesso, entro lunedì 14 novembre 2022; precisiamo che, decorso tale termine, sarà inibito ogni accesso in stabilimento alla Vostra come ad altre imprese appaltatrici destinatarie di comunicazione analoga alla presente".
E infine “confermiamo l’interesse della scrivente alla prosecuzione delle attività e delle opere appaltate”.
Le cause dello stop
Se l'interesse dell'azienda è proseguire le attività, perché si ferma? Non ha più liquidità. Lo hanno detto in tutti i modi, da mesi, e in tutte le sedi. Ad ogni tavolo del Mise convocato con azienda e sindacati.
Il presidente Franco Bernabè anche in pubblico, di fronte alle telecamere, l’ultima volta un mese fa al forum Ambrosetti: “Dopo la perdita di maggioranza da parte di ArcelorMittal, Acciaierie ha vissuto sostanzialmente senza aver accesso al credito bancario: le nostre difficoltà sono importanti, non di mercato, ma di funzionamento dell’azienda in queste condizioni, in cui l’azionista di riferimento ha perso le sue caratteristiche originarie di privato e c’è una compartecipazione di due azionisti che devono dotare l’azienda di risorse importanti” e al congresso nazionale della Uilm di fronte a tutti i sindacalisti: “fino ad ora devo dire che Acciaierie sono state gestite in una situazione che in tanti anni di esperienza non ho mai visto: senza accesso al credito bancario, senza finanziamenti degli azionisti".
Un allarme inascoltato
Finora i governi hanno ignorato l’allarme. L’unica soluzione che sono stati capaci di trovare è mettere in cassa integrazione straordinaria gli operai. Lo ha fatto l'allora ministro del lavoro Andrea Orlando mandandone a casa tremila per un anno, senza accordo dei sindacati, che si sono sempre opposti, e da anni sono gli unici che continuano a lottare per tenere in piedi quella fabbrica.
A questi si aggiungono gli altri 1.500 lavoratori messi in cassa integrazione da Luigi Di Maio, che sarebbero dovuti rientrare nel 2023 al ritorno degli 8 milioni di tonnellate di produzione. Oggi Ilva viagga a 3,7 milioni di tonnellate, e con questa sospensione scenderà ancora. Proprio ora che avendo completato il piano ambientale come previsto può finalmente aumentare la prodizione.
L’ultimo caso scoppiato è quello con Eni, il 30 settembre ha interrotto il contratto con Acciaierie d’Italia dopo un arretrato di 300 milioni. Si sapeva da mesi, ma nessuno durante il governo Draghi ha fatto niente. Ora l’azienda prende il gas da Snam come fornitore di ultima istanza che concede servizio di defoult per 90 giorni. Tutte aziende pubbliche, di interesse strategico naizonale, e nessuno fa niente.
"Non staremo a guardare inermi il funerale dell’intero territorio”, dice la Uilm. Lunedì è previsto a Taranto un incontro tra i sindacati e i parlamentari del collegio, ma tutti sanno che non deve essere quello locale l'ambito di discussione, perché significherebbe ancora una volta lasciarlo alle pretese di egemonia populista del governatore Michele Emiliano che, da quando è arrivato il governo di centrodestra, è tornato all'attacco.
"Ascolteremo senz’altro i parlamentari ionici che interverranno all’evento monotematico di lunedì ma, per quanto riguarda la UILM e la UIL, nella stessa giornata proclameremo azioni di protesta immediate", dice il segretario della Uilm di Taranto, Davide Sperti. "L'incontro di lunedì non può certo essere un ventaglio di intenti, nel senso che da questo momento, c'è un'unica strada da percorrere: disinnescare la bomba sociale che si prepara e quelle che potrebbero essere le reali ricadute di tutto ciò. Ci rivolgiamo, dunque, ai parlamentari e al Governo affinché da subito si avvii ogni azione tesa a evitare il de profundis di una comunità già in ginocchio e che non sarà spettatrice di ulteriori sfregi nel ginepraio delle umiliazioni”.
Le colpe del governo Conte
Da quando il governo Conte ha deciso di chiudere la partita con ArcelorMittal facendo subentrare il pubblico all’investimento previsto e vincolante di 4 miliardi, è stato un disastro. È stato lo stesso Conte a firmare il nuovo piano industriale (che prevede la riaccensione di afo 5) dopo aver deciso che avrebbe dovuto farlo lo stato, non si è occupato di riversarci le adeguate disponibilità economiche e verificare che venisse realizzato.
ArcelorMittal ha speso un miliardo per attuare nei tempi previsti tutte le prescrizioni del piano ambientale ormai completo al 90 per cento, ma mancano i soldi per le materie prime, i fornitori, le manutenzioni. E anche per pagare gli operai, messi in cassa integrazione da Orlando.
Un disastro. Non produce, non guadagna, non può pagare i fornitori.
Il governo Draghi nel decreto aiuti bis, come aveva annunciato
Giorgetti proprio nell’ultimo tavolo sindacale al Mise, ha destinato un miliardo ad Invitalia per l’aumento di capitale entro il 2022. Ma questo miliardo all’azienda non è mai arrivato, e fra un mese scade.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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