Sfregio del governo all'editoria: 20 milioni da dividere con gli edicolanti

A fronte del miliardo concesso al cinema l'esecutivo destina solo le briciole ai quotidiani

Sfregio del governo all'editoria: 20 milioni da dividere con gli edicolanti
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Niente da fare, evidentemente non interessa granché al governo sostenere l'editoria, in specie quella quotidiana che rappresenta, attraverso le sue molte voci, un presidio insostituibile per la tenuta della vita democratica oltre che pilastro della libertà. Basta leggere la bozza degli emendamenti alla manovra che il governo ha fatto pervenire al Parlamento. A proposito dell'editoria vi si legge: «È istituito presso il ministero dell'Economia, per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio, un Fondo per l'erogazione di contributi a sostegno delle imprese nel settore dell'editoria e delle persone fisiche esercenti punti vendita esclusivi per la vendita di giornali e riviste con una dotazione di 20 milioni di euro per l'anno 2025, che costituisce tetto di spesa».

Dunque, 20 milioni, per il sostegno delle edicole e delle aziende editoriali che la crisi del settore ha colpito maggiormente. Venti milioni, cioè niente. Dire che si tratta di un'elemosina è un eufemismo, perché niente vuol dire niente. Siamo al paradosso: da un lato la politica fa a gara per rimarcare l'importanza di una stampa libera e plurale, dall'altra tratta le aziende editoriali come una attività di serie B, quando deve stanziare sostegni indispensabili per far fronte alla congiuntura avversa. Ed è scandaloso

che nella manovra proposta dal governo, a sostegno di cinema, spettacoli e circhi venga stanziato ben 1 miliardo e 60 milioni: una distanza siderale con i 20 milioni destinati all'editoria. La Federazione italiana editori, che ieri è scesa in campo con una propria nota, esprime «sconcerto per la decisione dei partiti della maggioranza di abbandonare di fatto il settore dell'informazione professionale e di qualità». Pertanto «viene rivolto un appello a tutti i parlamentari italiani affinchè votino gli interventi proposti» da Pd e Forza Italia (rispettivamente 136 e 145 milioni) «allo scopo di garantire effettività all'articolo 21 della Costituzione e al pluralismo dell'informazione».

Tanta indifferenza è inaccettabile, visto che l'editoria giornalistica è «un sostegno insostituibile al pluralismo, valore fondante del funzionamento della democrazia», ovvero dell'intero sistema, come ha più volte ricordato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha parlato esplicitamente di «presidio alla libertà». Anche il più insensibile dei parlamentari è in grado di comprendere il senso e l'importanza di quell'affermazione. Del resto, seppure in crisi, tuttora l'informazione quotidiana su carta detta l'agenda delle notizie, non a caso quotidianamente rilanciate da tutti gli

altri media, tv comprese; se venisse menomata drasticamente per mancanza di risorse, il Paese calerebbe nel caos con conseguenze imprevedibili per la popolazione. In un Paese dove si è fatto falò di 170 miliardi per sostenere un superbonus per la maggior parte destinato ad arricchire chi proprio non ne aveva bisogno, con esponenti politici che ancora oggi difendono spudoratamente quel colossale spreco (avendone avuto il loro bel tornaconto in termini di consensi), è incomprensibile che non si riesca a ragionare sulla necessità di un sostegno concreto all'editoria.

La sola buona notizia per il mondo dell'informazione è data dal fatto che nella bozza degli emendamenti del

governo la nuova Webtax, che in partenza avrebbe riguardato l'intero mondo dell'editoria, pmi comprese, verrà imposta solo alle grandi aziende che realizzano ricavi sopra 750 milioni, vale a dire essenzialmente le big tech.

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