Il «grande centro» di Casini non piace neanche a Forlani

Egidio Sterpa

Col permesso del Direttore di questo giornale, dove da più di 32 anni scrivo liberamente, vorrei rivolgere qualche osservazione franca e amichevole a Pier Ferdinando Casini. Comincerò con due domande. La prima: dove si ripromette di portare il suo partito? La seconda: è consapevole che con lo strappo sancito a Palermo, oltre a mettere in seria difficoltà la coalizione di centrodestra, svigorisce la sua stessa Udc perché ne riduce la credibilità? Proviamo a ragionare. Quale strategia politica c’è alla base della spaccatura operata da Casini? Egli ha proclamato che vuole costruire un «terzo polo». È una illusione. Non ce ne sono le condizioni. La politica italiana è ormai incardinata in un bipolarismo che gli elettori mostrano di preferire. E nessuna delle due coalizioni mostra di voler cambiare la legge elettorale. Casini dichiara di preferire una riforma proporzionale alla tedesca. Il che vuol dire che non ci sarebbero più né il premio di maggioranza né l’obbligo di scegliere gli alleati prima delle elezioni. Cioè: dal bipolarismo si passerebbe a un multipartitismo che renderebbe difficile la formazione di coalizioni. Insomma, si troverà mai una maggioranza per una simile riforma?
Dunque, per un terzo polo non c’è davvero spazio. Ammesso che Casini riesca a tenere unito il suo partito e a farne addirittura il punto di attrazione di ex democristiani oggi collocati a destra e a sinistra, ne verrebbe solo un medio partito senza possibilità di mettere insieme una coalizione in grado di governare. Una strada assai scabrosa e perigliosa. Che politica potrebbe esprimere? È facile: «di centro». Mera espressione velleitaria, sia pure rispettabile. Casini cercherebbe alleati in una sinistra lontanissima da lui per ideologia, morale e visione del mondo? O pensa di agganciare una parte del centrodestra? Ma perché allora lo strappo? Con quale credibilità si riavvicinerebbe ad alleati che ha abbandonato? È il caso di citare Giovanardi, che gli ha eccepito realisticamente: «Quella poteva essere la tua piazza».
A Casini va detto che rischia di ficcarsi nella condizione in cui si trovano talune culture politiche che hanno una grande storia - quella liberale e quella repubblicana, per citarne due onorevolissime - che sono costrette da sempre a cercare alleanze.
Caro Pier Ferdinando, lasciatelo dire da chi prima di te ha sperato, e fatto anche qualche tentativo, per non far scomparire, come purtroppo è avvenuto, un partito piccolo ma di nobilissimo lignaggio storico e culturale: il Pli.
Voglio essere franco fino in fondo (sia con Casini che col mio amico Berlusconi, al quale devo un leale riconoscimento). Capisco l’insofferenza per un alleato che a volte esibisce comportamenti da «patron». In politica, però, guai ad allontanarsi troppo dalla realtà. Non sto consigliando soggezione o vassallaggio, che non fanno parte né della mia cultura né del mio stile di vita. Sto solo dicendo, caro Pier, che nella Casa delle libertà un leader delle tue capacità, con la maturazione conseguita in questi anni, giovane per giunta, che è riuscito a conquistarsi stima e consensi, può contare in una leadership ben più profittevole di quella scelta «ab irato» e precipitosamente.
Un’ultima citazione.

Quella di Arnaldo Forlani, l’uomo politico che ha allevato Casini: «Risolvere le cose in questo modo - ha detto - è assai pericoloso. In questa disputa, se non la si risolve in tempo, c’è la sicura sconfitta del centrodestra». Un monito di cui tener conto tutti: Casini, Fini, Berlusconi e ogni altro moderato.

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