Gravina, Salvatore caduto per salvare Francesco

Sulle mura del pozzo i segni delle unghie. I due ragazzini sopravvissuti per non più di 48 ore. Il più grande aveva una gamba rotta. La tesi dell’omicidio perde terreno. I legali: "Liberate Pappalardi"

Gravina, Salvatore caduto per salvare Francesco

Ci si aggrappa a un dettaglio, la gamba destra di Ciccio, per dare contorni umani a una storia che pare ambientata in una preistoria remota, tanto è feroce e distante da tutti i nostri parametri. «Ciccio è caduto per primo - spiega l’avvocato Angela Aliani- perché Ciccio ha quasi sicuramente una gamba fratturata». Un particolare doloroso ma cui ancorarsi sul fondo di quella cisterna che ingoia tutta la capacità di sopportazione e di immaginazione delle miserie del mondo. E proprio da lì l’avvocato parte per ricollocare il padre dentro il perimetro dell’umanità: «È stata una disgrazia, Ciccio è precipitato mentre giocava, Tore per aiutarlo. L’accusa non sta più in piedi». È andata così? Disgrazia doppia o duplice omicidio? Ipotesi che a prima vista paiono eccessive: possibile che siano precipitati mentre giocavano? Uno sì, ma due? E come si fa a pensare che il padre, o chi per lui, li abbia spinti lì dentro e se ne sia andato senza nemmeno sapere se erano morti?

Meglio contaminare la strada che porta all’incidente con quella che conduce alla mano umana e tentare una qualche combinazione. Però un fatto è certo: l’ordine di custodia che tiene in carcere dal 27 novembre il padre dei due ragazzini traballa. In pratica si accusa Filippo Pappalardi di averli ammazzati a botte, e poi nascosti da qualche parte, tant’è che gli si contesta non solo l’omicidio ma anche l’occultamento di cadavere.

La struttura accusatoria dev’essere ripensata. Il palazzo che ha divorato come un drago Ciccio e Tore è al centro di Gravina, a 400-500 metri dalla piazza in cui i due sarebbero rimasti a giocare fino alle 21.15-21.20 del 5 giugno di due anni fa. Francamente non si riesce a capire come il padre possa averli portati fin lì, a forza, magari fra urla e pianti, e poi costringerli come in un’esecuzione cinematografica, a saltare nel buio. No, gli investigatori ammettono che così la storia non funziona. Una sera d’estate, un paese piccolo, finestre e balconi lungo un itinerario «trasparente», aperto, pubblico. Certo, la situazione potrebbe essere sfuggita di mano, si può pensare ad una via crucis seguita da una morte non voluta, ma tutti i dettagli congiurano contro la presenza di Pappalardi in quei locali. Nessuno vede, i due precipitano in coppia, lui non prova a salvarli. Troppo.

Meglio scivolare verso la disgrazia. Magari, quella sì, in conseguenza di una fuga, di una minaccia di punizione, di un contesto primordiale che potrebbe aver spinto i bambini di corsa, senza pensare a niente, dentro quella trappola travestita da tana. «Chissà - ipotizza uno degli investigatori - forse i due hanno visto il padre infuriato e sono scappati terrorizzati».

I due sono caduti vivi, anche se i medici legali tirano il freno a mano delle conclusioni. Solo oggi verrà effettuata l’autopsia, gli esami dureranno un mese, a questo punto, purtroppo, non c’è fretta. Ciccio e più di lui Tore hanno lottato per 24-48 ore circa; la temperatura là sotto è di7-8 gradi, la morte potrebbe essere arrivata con il più spaventoso dei cocktail: freddo, fame, terrore, i postumi delle ferite. Ciccio è andato giù per primo, Ciccio chiede aiuto a Tore, Tore - anche se questo elemento non convince più di tanto - si sporge e cade a sua volta. Oppure, conviene seguire il medico legale della difesa Salvatore Strada: «Ciccio e Tore erano uno accanto all’altro e uno dei due mentre precipitava si è aggrappato all’altro e l’ha trascinato giù». Ciccio, il cui corpo è stato trovato vicino al cunicolo, forse è morto prima, Tore no, era a 15 metri di distanza. Sarebbero sue, altro dettaglio che rimanda alle caverne dei nostri sussidiari, le unghiate sui muri. Segno di un disperato tentativo di risalita. Anche se forse si tratta di ditate, tracce di una mano che sanguina e striscia. Ma sotto le unghie i medici legali hanno scoperto la calce, a testimoniare quella battaglia impari col cemento delle pareti. E poi, altra circostanza evidente, i due si sono tolti le scarpe perché nella loro logica elementare, da film d’avventura, le scalate si facevano a piedi nudi.

Angela Aliani riemerge dall’orrore con una richiesta precisa: «Ho chiesto la scarcerazione di Filippo Pappalardi». Certo, l’avvocato sorvola sulle stranezze del comportamento paterno - l’alibi che vacilla, le intercettazioni inquietanti, l’assenza inspiegabile di telefonate nelle ore della scomparsa e della ricerca dei due - e si concentra proprio sull’incommensurabile disumanità e sulla macchinosità della lettura colpevolista. E prova a far rientrare questa storia nei confini di una tragedia da imputare solo al destino, spingendola verso il giorno e la luce, in contrasto con la versione ufficiale. «Ciccio e Tore potrebbero essere caduti mentre c’era ancora luce. Immagino verso le sei, le sette perché i ragazzini non potevano andare a giocare lì se fosse stato buio».

Tore è morto in un punto,

l’unico dell’antro, in cui filtrava un raggio di sole. Tore è morto cercando la luce. Ora si aspetta la risalita in superficie di papà Filippo che dal carcere di Velletri si difende: «Se c’è un Dio, scopriranno la verità».

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