Il fronte dei «falchi» che vorrebbe chiudere i rubinetti degli aiuti alla Grecia sta acquisendo forza, soprattutto lungo l’asse Berlino-Vienna-Helsinki, e le Borse resteranno in tensione, ma la gran parte degli esperti pensa che la rete di protezione internazionale continuerà a funzionare e che Atene si risolleverà restando ancorata all’Eurozona. Almeno questa è la convinzione di 25 tra economisti, analisti e banchieri d’affari italiani interpellati dal Giornale , anche se la strada potrebbe rivelarsi più accidentata del previsto.
Sebbene non si possa parlare di un sondaggio in senso stretto, il 56% del campione ritiene infatti che in Grecia sarà indispensabile una ristrutturazione del debito. Con un distinguo: per la maggioranza di questi sarà sufficiente un riscadenzamento, più o meno lungo, della durata del debito; mentre una minoranza autorevole considera inevitabile una «rasatura » ( il cosiddetto haircut ) del valore nominale dei sirtaki-bond in circolazione: un taglio che potrebbe aggirarsi intorno al 20 per cento. Il restante 44% degli esperti pensa, invece, che Fmi-Bce e Unione Europea assicureranno tutti gli aiuti necessari affinchè la Grecia non sia costretta a misure traumatiche. Nessuno degli intervistati crede comunque nel default o nel ritorno della Grecia alla dracma, ipotesi questa coccolata da una parte della popolazione ellenica esasperata dal piano di austerity imposto dal governo Papandreou. Si tratta del più difficile banco di prova cui sia mai stata chiamata l’Eurozona, ma a fare propendere all’ottimismo economisti ed analisti è l’alternativa del baratro che si aprirebbe in caso di crac della Grecia, come ha dimostrato la lezione di Lehman Brothers.
Senza contare che la stessa condizione di reggenza in cui si trova oggi il Fondo monetario internazionale, per le dimissioni forzate di Dominique Strauss-Kahn, lascia ritenere che si cercherà di mantenere lo status quo degli aiuti, anche per non innestare un effetto domino dall’esito incontrollabile sulle altre «periferie »deboli dell’Europa,come Irlanda e Portogallo. La settimana che inizia oggi è comunque delicatissima: gli emissari di Fmi-Bce ed Ue devono infatti decidere se sbloccare o meno la quinta tranche di aiuti del piano d’emergenza da 110 miliardi di euro. Si tratta di 12 miliardi, fondamentali per dare ossigeno alle casse di Atene in vista dell’appuntamento di metà giugno, quando andrà in scadenza un’altra importante fetta del debito pubblico del Paese. La Ue- ha minacciato ieri il commissario Olli Rehn dalle colonne dello Spiegel - bloccherà i finanziamenti se la Grecia non interverrà in maniera più incisiva per mettere a posto i conti,così come l’Fmi.Le anticipazioni, ha proseguito Rehn, rivelano che Atene sta tradendo le «promesse» fatte, ma il ministro greco delle Finanze George Papaconstantinou si è detto fiducioso sulle trattative.
Molto dipenderà dalla determinazione con cui Atene porterà a termine il prospettato piano di privatizzazione, mettendo all’asta i gioielli di Stato per rimediare a una situazione resa insostenibile dallo squilibrio tra un debito pubblico di oltre 300 miliardi, pari al 140% del Pil, e un’economia in forte recessione (quest’anno si stima una flessione di almeno il 3%). Ecco perché, alcuni osservatori sono convinti che nel medio termine ristrutturare il debito risulterà inevitabile, magari allungando i sirtaki bond fino al 2040.
La situazione anche in Piazza Affari rimane quindi incerta (da inizio marzo l’indice Ftse Mib ha ceduto il 6,3%), soprattutto per le banche che, complice la sequenza di aumenti di capitale, hanno già pagato un dazio elevato con perdite prossime al 25% per Intesa Sanpaolo, Banco Popolare o Ubi Banca; si è difesa meglio Unicredit (-15%). Ma la debacle, che ha portato alcuni gruppi a quotare meno dei mezzi propri, è ritenuta troppo marcata dagli analisti. In sostanza, quando lo spettro greco sarà esorcizzato, dovremmo assistere a un rimbalzo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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