Guerra tra giudici per salvare il boss «pazzo»

Il gip chiede di processare Alfio Laudani. «Si finge incapace di intendere e di volere»

Gian Marco Chiocci

nostro inviato a Catania

Può un magistrato «minacciare» un giudice affinché intervenga su un terzo giudice che ha rinviato a giudizio un mafioso che, secondo altri magistrati, non merita di finire sotto processo? Pare di sì. Accade ai piedi dell’Etna, terra già sconvolta da diatribe e veleni nel celebre «caso Catania». È qui che da anni detta legge il boss Alfio Laudani, capo indiscusso della consorteria mafiosa braccio armato del clan Santapaola, il quale vede sospesi due procedimenti penali perché ritenuto incapace di intendere e di volere. Per la procura di Catania non è in grado di essere processato, per il gip Ferrara che ha le prove della simulazione del boss, sì.
Le accuse sembrano pesanti. Laudani sarebbe il mandante dell’omicidio di Gaetano Atanasio, detto «lastrichedda», ucciso il 12 luglio 1989 a Viagrande, provincia di Catania. Già nel 2001 la procura aveva sollecitato l’archiviazione con lo stesso provvedimento con cui richiedeva di non processare nemmeno il re dei supermercati locali, Sebastiano Scuto, arrestato dai carabinieri. Sia per quest’ultimo episodio che per l’omicidio, il giudice per le indagini preliminari volle che si procedesse comunque perché a suo avviso ve ne erano gli estremi. La procura generale, condividendo il parere del gip, avocò entrambe le indagini stigmatizzando il comportamento (definito di «mala gestio») della procura. L’altro procedimento riguarda un caso di fittizie intestazioni di beni contestato al Laudani intenzionato a sottrarre il proprio patrimonio dalle misure di prevenzione.
Al termine di una lunghissima attività medico-legale corroborata dalle relazioni della polizia penitenziaria del centro clinico del carcere di Parma dove Laudani è «ricoverato», si scopre che il boss gioca a fare il moribondo. Scrivono gli agenti di custodia: «Alla presenza di estranei il Laudani si presenta tutti i giorni come in uno stato vegetativo». Quando, però, non sa di essere osservato, una volta viene «sorpreso a risistemarsi il letto in piedi», un’altra a «parlare tranquillamente durante il colloquio con la moglie», una terza «tornare dal bagno con le sue gambe» salvo correre a sdraiarsi sul letto per restarvi immobile. Rifiuta il vitto, «ma di notte si ciba di nascosto». Lo danno per immobilizzato a letto, «ma va da solo alla toilette».
Quando il gip e il giudice del Tribunale di sorveglianza leggono le note della polizia penitenziaria decidono di applicare la legge procedendo alla revoca delle ordinanze di sospensione dei vari processi. Tecnicamente si affidano all’articolo 72 cpp («la sospensione è revocata con ordinanza non appena risulta che lo stato mentale dell’imputato ne consente la cosciente partecipazione al provvedimento...»). Sulla carta l’accusa dovrebbe essere contenta, ma non è così. Il procuratore capo in persona, Mario Busacca, prende carta e penna e «minaccia» di trascinare innanzi alla Corte dei conti i giudici che insistono a voler processare l’«incapace» Alfio Laudani.
Il 15 ottobre 2005 trasmette una nota al presidente dei gip, Sebastiano Cacciatore, e per conoscenza, a quel testardo di gip di Antonino Ferrara che ha spedito alla sbarra il boss. Busacca fa presente a Cacciatore che i periti continuano a confermare come il Laudani non possa partecipare consapevolmente al giudizio al contrario di quel che sostiene il «suo» gip che ha disposto ugualmente l’udienza preliminare. «Chiedo alla signoria vostra cui spetta di autorizzare l’inutile trasferta (da Catania al carcere di Parma, ndr) di esprimere una valutazione sulla vicenda. Da parte mia - scrive Busacca - confesso di essere al momento incerto se non consentire al sostituto di effettuare la trasferta, ovvero se consentirla e poi inviare la liquidazione alla magistratura erariale nel caso in cui il gip, cui la presente è indirizzata con implicita sollecitazione di revoca, dovesse confermare il provvedimento».
Sintetizzando: il procuratore capo invita il capo dei gip a intervenire sul giudice Ferrara affinché si ravveda sulla propria decisione, pena l’addebito del costo dell’intera trasferta del collegio a Parma davanti alla magistratura contabile. Il capo dei gip legge la missiva e resta di sasso. Impiega poco a rispondere, a tono: «Egregio Procuratore, mi meraviglia quantomeno la richiesta di revoca dell’udienza preliminare e della trasferta, situazione mai verificatasi nella mia ultraquarantennale esperienza di giudice penale, avanzata da una parte processuale prima dell’udienza e diretta a coartare la volontà del libero giudice (...). Non intendo, pertanto, disporre alcuna revoca» della trasferta e delle udienze «disposte da giudicanti che hanno speso la loro vita per l’accertamento della verità, sempre con sprezzo del pericolo, al solo scopo di definire i procedimenti penali e di rendere giustizia, senza nulla temere né dalle parti processuali né da altre magistratura».

Rispetto alla «minaccia» di far intervenire la Corte dei conti, Cacciatore usa un’ironia raffinata: «In caso di intervento, su sua richiesta, della magistratura erariale, pur di assicurare il giusto corso della Giustizia penale, correrò anche il rischio, senza alcuna preoccupazione, di avere addebitato l’importo della trasferta, che (...) dedurrò in tempi spero non brevi, dalla somma di denaro che dovrò lasciare in eredità». gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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