Anna Prouse è l’italiana che ha guidato il team internazionale per la ricostruzione nella provincia di Nassirya e in Iraq ha lavorato 8 anni, fianco a fianco con gli americani. Esperta di difesa, antiterrorismo e di zone di crisi viene chiamata dai governi per affrontare situazioni di emergenza e pianificare il futuro dei Paesi, così è successo in Usa dove vive, in Mozambico, Somalia, Siria, Mali, Libia. La intervistiamo al ritorno da un giro in moto in Egitto, con il marito americano conosciuto quando era militare in Iraq, proprio mentre riesplodeva il conflitto arabo-israeliano. In questi giorni è impegnata in Italia per il lancio del suo libro autobiografico “Della mia guerra,della mia pace”( Harper Collins).
Quali sono gli errori americani in Iraq da non ripetere in Medioriente, di cui ha parlato il presidente Biden nella sua visita in Israele?
“In Iraq è mancato un progetto per il futuro del Paese e mi fa piacere che oggi gli americani riconoscano che si sono accumulati errori uno dopo l’altro e dicano che non bisogna solo vendicarsi. L’invasione non aveva un piano B e la stessa cosa può succedere ora con la Striscia di Gaza. Quando Netanyahu dice di sgomberare i territori del nord rivedo quel che accadde nel novembre del 2004 nella seconda battaglia di Falluja, quando si diceva alla popolazione di scappare per poter dare la caccia ai terroristi Al Zarkawi, ma quel porta a porta fatto da soldati loro stessi terrorizzati, si trasformò in una conquista sanguinosa che è ben difficile chiamare vittoria”.
Come può Israele sradicare Hamas senza invadere la Striscia di Gaza?
“Si è detto che Hamas è come l’Isis, ma non è così. E’ molto meglio organizzata dei terroristi neri e governa la Striscia, costruisce scuole e ospedali, ha il consenso della popolazione. Bisogna distinguere tra terroristi e popolo palestinese, ma il problema è sempre stato che, come in Iraq, i primi si nascondono tra i civili e non si sconfiggeranno mai con una guerra tradizionale. Ammettendo che si possa sradicare Hamas poi bisogna chiedersi che fare, chi governerà al suo posto quel che rimarrà della popolazione palestinese. O Israele ha un piano o è meglio non mettere le mani là dentro”.
Il generale Petraeus, che comandò la forza multinazionale in Iraq, dice che bisogna combattere Hamas ma avere una visione del dopo.
“Conosco bene Petraeus, fu uno di quelli che più mi ha voluto a capo del team di ricostruzione a Nassirya. Il suo è il messaggio che gli americani stanno cercando di dare al governo israeliano. Assolutamente è necessaria la costituzione di uno Stato palestinese, bisogna rimettersi attorno al tavolo della trattativa, perchè il terribile attacco dei terroristi in Israele, un colpo eccezionale paragonabile all’11 settembre negli Usa, ha rotto l’assuefazione del mondo ad una situazione che non si è mai risolta. Ora che sul Medio Oriente c’è di nuovo l’attenzione delle grandi potenze, le teste intelligenti del mondo devono trovare una soluzione al problema più grosso che abbiamo sul quadro internazionale. Ultimamente l’opinione pubblica è stata occupata da altre guerre, come quella in Ucraina, ma forse aver toccato il fondo della Tragedia, con la maiuscola, può svegliarci”.
Che cosa serve per questo, che finora non si è trovato?
“Innanzitutto, servono due leader disposti a fare la pace e trovare un nuovo ordine. Ma invece abbiamo da un lato Netanyahu, che ha dimostrato di non ragionare con sangue freddo e testa sulle spalle, esce da 4 mesi di rivolte interne e contestazioni degli israeliani contro di lui e ora conta su una solidarietà nazionale che già mostra le crepe. Dall’altro lato, c’è Abu Mazen, un leader anziano, che si fa mettere i piedi in testa da Hamas e che non può costituire l’unica speranza del suo popolo”.
Il ministro degli Esteri Tajani dice appunto che per neutralizzare Hamas va data una speranza al popolo palestinese, ma come?
“Credo che in questo momento non si possa trattare con Hamas e altri interlocutori tra i palestinesi è difficile trovarli, ma dietro le quinte certo in molti si stanno muovendo. Gli Usa da una parte e alcuni dei paesi arabi dall’altra, lavorano per bloccare l’escalation. L’Egitto può avere un ruolo chiave, come già nella storia.
Il ribollire delle piazze arabe e il rischio di una ripresa del terrorismo nel mondo ci dicono, però, che non sarà possibile mettere a tacere i fuochi di guerra e ripristinare con la forza lo stato precedente. Questi giorni saranno determinanti” .- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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