Basi sotto tiro, Cia pro-Palestina e Pentagono in allarme: tutti i fronti di Biden

L'escalation in Medio Oriente è una delle sfide più sensibili per la Casa Bianca. I problemi al Congresso tra dem e Gop prosciugano i fondi del Pentagono e alla Cia scatta l'allarme per post pro-Palestina, ma non solo

Basi sotto tiro, Cia pro-Palestina e Pentagono in allarme: tutti i fronti di Biden

Per Joe Biden la politica estera doveva essere il dossier più facile. E invece negli ultimi tre anni la sua amministrazione si è trovata a gestire uno grattacapo dopo l’altro. Prima il disastroso ritiro dall'Afghanistan; poi l’invasione russa dell’Ucraina e infine un’escalation tra Israele e Hamas. Per Biden la crisi più pericolosa è proprio l’ultima. Con il passare delle settimane i nodi spinosi per la Casa Bianca sono aumentati e si intrecciano con le disfunzionalità che la politica americana sperimenta da una decina d’anni.

Pentagono a corto di soldi

Subito dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre il Pentagono ha varato un dispiegamento importante di uomini e mezzi in Medio Oriente, in particolare schierando portaerei e gruppi di attacco. Il problema è che quel dispiegamento costa milioni di dollari e il dipartimento della Difesa non dispone di fondi sufficienti. La marina militare americana deve operare all’interno di un regime fiscale temporaneo. Al Congresso democratici e repubblicani hanno trovato un’intesa sulle spese federali a tempo. In questo modo moltissime attività straordinarie non possono essere finanziate.

L’accordo stabilisce un tetto della spesa ai livelli dell’anno precedente. Questo vuol dire che il dispiegamento di navi e portaerei non può rientrare tra le spese ordinarie visto che nell’ultimo bilancio non era previsto un rafforzamento in Medio Oriente. Per far fronte a queste spese il Pentagono sta attingendo a fondi di cassa destinati ad altri scopi. Questo ha effetti sia nell’immediato che in prospettiva, da un lato dà segni di un'amministrazione disfunzionale, dall’altro non permette alla Difesa di progettare investimenti e investire risorse in scenari più strategici come l’Asia.

Per Biden i problemi si annidano però anche dentro al Pentagono. Da settimane le forze americane di stanza in Medio Oriente sono finite nel mirino di milizie sciite vicine all’Iran. Oltre una settantina di raid hanno colpito basi e avamposti ferendo decine di soldati. Ultimo episodio in ordine di tempo i razzi lanciati verso il cacciatorpediniere USS Carney dei ribelli sciiti Houthi dello Yemen. Qualche settimana fa l’amministrazione Usa ha risposto con almeno cinque raid aerei, tre in Siria e due Iraq. Ma in molti, nei corridoi del Pentagono, non sono convinti della risposta, ritenuta troppo blanda e inefficace. Il rischio, dicono i più critici, è che prima o poi un soldato americano possa rimanere ucciso di fatto aprendo le porte a un’escalation incontrollata che trascini gli Usa in una nuova guerra.

La Cia e quei post imbarazzanti su Facebook

I malumori nei confronti della Casa Bianca passano anche dallo stato profondo americano, sotto forma di post imbarazzanti sui social e mugugni che funzionari spiattellano alla stampa americana. Uno dei casi più eclatanti è stato quello di un vice direttore associato della Cia del dipartimento analisi. Si è scoperto che il funzionario il 21 ottobre ha pubblicato su Facebook una foto in sostegno della causa palestinese.

Il post, poi rimosso, ha risuonato come un campanello di allarme notevole. Come ha scritto il Financial Times, il funzionario era tra i supervisori del briefing che finisce ogni giorno sulla scrivania del Presidente. Questo pone dubbi inquietanti sul tipo di analisi che finiscono nelle mani dei Biden e sulla loro imparzialità. Non solo. Il retroscena sull’alto funzionario si unisce a una stagione di forti contestazioni all’interno dell’amministrazione americana.

Casa Bianca in fermento

Da settimane la stampa a stelle e strisce pubblica resoconti di impiegati e consiglieri interni alla Casa Bianca che non hanno visto di buon occhio l’appoggio incondizionato di Joe Biden a Israele. I più ostili alla posizione del presidente sono gli elementi più giovani del suo staff, in particolare quelli di origine araba e musulmana. A infiammare la fronda anti israeliana sono state soprattutto le parole del presidente che mettevano in luce i dubbi sul numero di morti diffusi da Hamas. Ad altri non sono andati giù i commenti tutti interni che lo Studio Ovale ha riservato ai membri dello staff di origine ebraica, come se fossero messi in contrapposizione con i colleghi arabi o musulmani.

Per settimane il capo gabinetto di Biden, Jeffrey Zients ha dovuto giocare il ruolo di pompiere con continui colloqui per raccogliere le lamentele. Non è un caso, ha notato qualcuno, che nelle ultime settimane l’approccio di Biden e il linguaggio utilizzato siano stati più dialoganti, incentrati sulla necessità di prolungare la tregua e cercare di non infiammare troppo il conflitto. In più la Casa Bianca ha schierato l’uomo ombra della sua diplomazia, il capo della Cia William Burns mandato in missione in Qatar per incontri riservati con i vertici dell'intelligence israeliana e il primo ministro qatariota con l’obiettivo di trovare un modo per ampliare la tregua. Tentativo poi naufragato con la ripresa degli scontri.

Guai in vista del 2024

La necessità di raffreddare un Medio Oriente in ebollizione non serve solo per limitare i mal di pancia nel deep state americano, ma anche per calmare elettori. Da settimane la minoranza musulmana nel Paese è furente contro il presidente democratico. Decine di associazioni e di attivisti hanno apertamente detto di essere pronti a voltare le spalle all’ex vice di Barack Obama, una presa di posizione che può costare carissimo in termini elettorali in vista del 2024.

E non tanto per un'improbabile travaso di preferenze verso Donald Trump, quando per il boicottaggio nelle urne. Da due cicli elettorali le elezioni si decidono sia in un pugno di Stati che per un pugno di voti.

Perdere un migliaio di voti in luoghi come la Georgia o il Michigan (Stati con minoranze islamiche agguerrite) può costare grandi elettori e soprattutto la Casa Bianca. Un’eventualità, sondaggi alla mano, che incombe sul futuro di Biden.

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