Allarme del Pentagono sulla strategia di Biden: i rischi dietro gli attacchi alle basi Usa

Non si placano i raid delle milizie sciite contro installazioni americane tra Siria e Iraq. E ora si alzano malumori contro la strategia di Biden. Ecco tutti i rischi

Allarme del Pentagono sulla strategia di Biden: i rischi dietro gli attacchi alle basi Usa
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C'è malumore tra i corridoi del Pentagono. Secondo fonti sentite dal Washington Post l'ondata di attacchi che ha preso di mire le forze americane tra Siria e Iraq non è staia gestita nel modo giusto. Una parte dei funzionari ritengono che gli attacchi di ritorsione americani approvati dal presidente Joe Biden ma non abbiano fermato la violenza. "Che strategia stiamo adottando?", si è chiesto uno di questi funzionari, "perché è evidente che non sta scoraggiando l'Iran".

Da quasi un mese le basi americane nella regione mediorientale sono finite sotto il tiro di milizie sciite controllate dall'Iran. Il fermo appoggio a Israele nella campagna contro Hamas nella Striscia di Gaza ha attivato tutti questi gruppi che hanno bersagliato con razzi e droni i compound a stelle strisce. Biden e i vertici del Pentagono hanno avvisato in più occasioni l'Iran di tenere a bada le milizie e che Washington ha il diritto di rispondere. Ma gli attacchi non sono cessati.

Gli attacchi contro le basi Usa

Come sottolineato dal Post nell'ultimo mese i soldati americani hanno subito circa una sessantina di attacchi che hanno ferito decine di soldati. Il giornale americano è entrato in possesso del numero degli attacchi concentrati su circa 10 installazioni, cinque per Paese. Nelle ultime settimane la Casa Bianca ha dato l'ok a tre missioni di ritorsione, ultima in ordine di tempo il 12 novembre, tutte condotte nella Siria orientale.

Nel mirino sono finiti siti utilizzati dai pasdarn iraniani e gruppi affiliati, in particolare centri di comando, campi di addestramento e depositi di armi che riforniscono le linee di approvvigionamento delle milizie in tutta la regione e che arrivano anche verso il confine con il libano e gli affiliati di Hezbollah. Il bilancio di questi attacchi sarebbe di sette morti, ma l'esito è ancora al vaglio degli analisti.

Il dato che ha sorpreso di più il Pentagono è il numero dei raid in un tempo così breve: 61 comparato con gli 80 registrati tra il gennaio del 2021 e il marzo di quest'anno. Nei giorni scorsi era emerso che i Pentagono conosceva l’ubicazione di molti leader della galassia sciita ma che i funzionari stavano valutando eventuali effetti di raid mirati contro le catene di comando. Su questo punto sembra che il dipartimento della Difesa abbia fornito alla Casa Bianca nuove opzioni militari per affrontare la minaccia, ma non è chiaro quali siano al momento.

La "guerra" al rallentatore con l'Iran

Lo scontro tra Usa e milizie sciite fa parte di un quadro in rapido movimento. Da tempo Teheran e Washington sono impegnate in schermaglie tra Iraq e Siria. La Repubblica islamica vorrebbe rimuovere le circa 3.500 truppe Usa dai due Paesi, mentre gli Usa ritengono fondamentale un presidio per evitare il risveglio dello Stato Islamico. L'arco di crisi va però oltre Siria e Iraq. In Libano Hezbollah si sono detti pronti ad aprire un fronte con Israele, mentre più a Sud, i ribelli Houthi minacciano la stabilità del Golfo. La milizia che controlla parte dello Yemen ha prima lanciato missili verso Israele (intercettati perà dal sistema missilistico di una nave Usa) e poi abbattuto un drone americano da 30 milioni di dollari sul Mar Rosso.

Le paure del Pentagono

Poco prima che scattasse l'offensiva di Israele contro Gaza, gli Usa si sono affrettati a spostare batterie di missili per la difesa aerea rinforzando lo scudo missilistico nella regione. Pubblicamente i dipartimento della Difesa predica calma, minimizza i raid e sottolinea che i soldati feriti sono quasi tutti tornati in servizio. Però, informalmente, dai corridoi del Pentagono filtra una certa preoccupazione. Gli attacchi in aumento, nonostante la risposta Usa, fanno temere che prima o poi ci possa essere una vittima tra i soldati americani. Un morto che accelererebbe un'escalation in tutta la regione.

Una strada stretta

Il percorso rimane molto stretto in realtà per l'America. Nonostante diversi malumori si alzino anche dal Congresso, le opzioni per il Pentagono non sono molte. Per ora si è deciso di colpire solo in Siria evitando raid in Iraq, perché la situazione è più instabile. I soldati americani si trovano nel Paese su invito del governo di Baghdad, ma in tutto il Paese sta montando il sentimento anti americano, alimentato dalle numerose milizie vicine agli ayatollah iraniani. Attaccare, magari causando morti, rischia di far precipitare la situazione.

Agli Usa rimangono quindi poche opzioni, molte di deterrenza pura come, appunto lo scudo militare e i dispiegamento di Portaerei e gruppi di attacco nella regione. Secondo diversi analisti solo il tempo potrà dire se la strategia di Casa Bianca e pentagono funziona, ma è proprio il tempo la viabile scarsa di cui dispone Biden, sempre più assediato di focolai di crisi nel mondo.

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