La "commedia" degli incapaci: lo Zar annaspa nelle sue crisi, il capo Wagner sbaglia i conti, Lukashenko solo un fantoccio

La "commedia" degli incapaci: lo Zar annaspa nelle sue crisi, il capo Wagner sbaglia i conti, Lukashenko solo un fantoccio
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Mancano ancora troppi elementi per valutare ciò che davvero è accaduto e accadrà in Russia dopo l’incredibile sabato scorso. Gli analisti si spremono per trovare spiegazioni, ma c’è un errore che troppi di loro commettono: considerare le azioni dei protagonisti di questa storiaccia come atti ponderati e razionali, compiuti da fini strateghi. Non è così. Se una cosa ci insegnano il gesto teatrale di Evgenij Prigozhin e le reazioni di Vladimir Putin è che quei protagonisti sono invece dei mediocri.
Tutti loro. A cominciare da quel Putin per il quale si sono sprecati in passato elogi non di rado servili («lo Zar», «il grande statista» eccetera) e che da anni invece vediamo annaspare in mezzo a crisi da lui stesso suscitate. Un uomo che ha distrutto un sistema sulla carta democratico per costruire con i suoi simili ex Kgb uno Stato mafioso, una dittatura personale che perseguita come «estremista» e «indesiderabile» qualsiasi organizzazione non allineata. Solo in questo Vladimir Putin si è distinto, nell’eliminazione di chiunque ostacolasse il suo disegno di diventare ricchissimo e onnipotente. Poi però, come tutti i dittatori, ha cominciato a credere alla sua stessa propaganda e si è infilato in una guerra: l’identica idiozia che avevano commesso Hitler e Mussolini.

Putin vive in un mondo immaginario e anacronistico, nega la realtà del XXI secolo in cui gli Stati ex vassalli di Mosca hanno liberamente scelto di emanciparsi e allearsi con l’Occidente. Pretende di riportarli sotto il tallone russo usando il metodo di sempre, la violenza bruta. Ha sbagliato tutto. Si è illuso che Usa ed Europa avrebbero avuto paura di lui, del suo bieco ricatto energetico e militare, che si sarebbero divisi per salvarsi abbandonando Kiev al suo destino come Kabul pochi mesi prima. Non ha capito che, di fronte a minacce estreme, l’Occidente ritrova sempre coesione e forza. Soprattutto non gli era chiaro che le forze armate russe erano una tigre di carta piagata dalla corruzione e dall’incapacità dei suoi vertici, e che l’unico motivo per cui la Russia è ancora temuta è il suo arsenale atomico.

In Ucraina il bluff dello strapotere militare russo è stato «visto» dal mondo intero e a Putin non è rimasto che terrorizzare i civili con i missili (spesso iraniani) e ricorrere ai mercenari della Wagner per compensare i fallimenti delle forze regolari, guidate a loro volta da esempi di mediocrità come Sergei Shoigu e Valerij Gerasimov. E qui entra in scena Evgenij Prigozhin. Si cercano motivazioni complesse per il suo gesto di sfida che ha fatto parlare il mondo di colpo di Stato e reagire Putin chiamandolo traditore. Ma Prigozhin non è un fine statista. È solo il brutale capo di una banda di contractor che si è montato la testa. Non ha agito per prendere davvero il potere a Mosca (che saprebbe gestire solo «alla Hitler», trasformando la Russia in un Reich perennemente in guerra), ma per salvare il suo controllo sulla Wagner e le sue enormi ricchezze. Ha sbagliato pure lui tutti i suoi conti e ora è probabile che i suoi giorni siano contati: nel mondo mafioso di Putin chi sfida il Capo paga con la vita.

C’è un ultimo mediocre, anzi super mediocre, in questa vicenda. È quell’Aleksandr Lukashenko, cui alcuni attribuiscono un ruolo reale nel dialogo con Prigozhin. Niente di più falso. Lukashenko è uno zero, il governatore di un protettorato di Mosca chiamato Bielorussia e può solo eseguire gli ordini di Putin. C’è chi dice che il non essersi impegnato direttamente nella guerra all’Ucraina dimostrerebbe la sua indipendenza, ma la Bielorussia è ridotta a base militare e di stazionamento delle atomiche russe, dal suo territorio sono partiti attacchi aerei e di terra russi all’Ucraina: solo l’esercito è rimasto fuori perché serve a impedire rivolte interne.

Lukashenko, immagine lombrosiana della rozzezza di certi regimi post sovietici, è solo stato usato da Putin come mediatore di facciata per evitargli il disagio di trattare di persona con un ribelle. Ha svolto, una volta di più, il ruolo che gli compete: quello di mediocrissimo servo.

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